Stop alla pena di morte: il Papa cambia un paragrafo del Catechismo

“Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona’, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”.

Così parlava papa Francesco l’11 ottobre 2017, in occasione dell’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ma la firma ufficiale, che attesta l’approvazione della nuova redazione del Catechismo in tema di pena di morte porta la data dell’1 agosto 2018. La pena di morte, dunque, viene ora esclusa in termini assoluti e definita “inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”.

La precedente versione del Catechismo sull’argomento, già emendato nel 1995 dopo le affermazioni di Giovanni Paolo II nella Enciclica Evangelium vitae, considerava “praticamente inesistenti” i casi di assoluta necessità della pena capitale, ma non la escludeva del tutto. “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l`ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti»”.

Secondo il cardinale Ladaria, autore di una lettera ai Vescovi che accompagna il Rescritto, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,  l’aggiornamento non va considerato in contraddizione con gli insegnamenti anteriori, che potrebbero “spiegarsi alla luce della responsabilità primaria dell’autorità pubblica di tutelare il bene comune, in un contesto sociale in cui le sanzioni penali si comprendevano diversamente e avvenivano in un ambiente in cui era più difficile garantire che il criminale non potesse reiterare il suo crimine”.

Del resto, una sempre più forte sensibilità contro la pena di morte serpeggiava nella Chiesa da tempo. Lo stesso Giovanni Paolo II si espresse più volte contro quel provvedimento. Nel Messaggio natalizio del 1998 aveva auspicato «nel mondo il consenso nei confronti di misure urgenti ed adeguate […] per bandire la pena di morte».  Il mese successivo, dagli USA, aveva ribadito: «Un segno di speranza è costituito dal crescente riconoscimento che la dignità della vita umana non deve mai essere negata, nemmeno a chi ha fatto del male. La società moderna possiede gli strumenti per proteggersi senza negare in modo definitivo ai criminali la possibilità di ravvedersi. Rinnovo l’appello lanciato a Natale, affinché si decida di abolire la pena di morte, che è crudele e inutile».

Nicaragua: sparano sui sacerdoti, una donna grida: non avrete il perdono di Dio!

di Antonella Sanicanti

E’ vergognoso quello che sta accadendo in Nicaragua;  l’uomo si ricordi  di non mettersi mai contro Dio, di non sfidare il Signore. Si Ricordi che ogni potere che è stato dato all’uomo è stato concesso dal Creatore!

Tutta la Chiesa, in Nicaragua, è, purtroppo, sotto attacco, poiché il Governo Sandinista, il cui Presidente è Daniel Ortega, usa le forze armate contro chiunque si opponga ai suoi dettami, senza distinguere o salvare nemmeno Vescovi e sacerdoti, che cercano di portare pace tra le varie fazioni in campo.

Come mostra il video che segue, anche il clero e i volontari, che soccorrono i rifugiati o le vittime degli agguati, subiscono la stessa sorte.

Il Presidente Daniel Ortega è arrivato ad accusare di satanismo i prelati, parlando di una sorta di congiura nei suoi confronti, poiché essi sarebbero gli artefici delle ribellioni contro la sua politica. In effetti, la Chiesa, in Nicaragua, sta cercando di mediare tra il popolo e il Governo, ma la situazione non fa altro che peggiorare, ora dopo ora, proprio a causa delle reazioni del Presidente.

Dunque, ogni Vescovo, ogni sacerdote, come tutte le persone loro vicine, sono stato ritenute responsabili delle rappresaglie e cospiratori. Ed ecco i nomi di alcuni esponenti della Chiesa che hanno subito gravi attentati: l’Arcivescovo di Managua, il Cardinale Leopoldo Brenes; il nunzio Waldemar Stanisław Sommerta; il Vescovo Juan Abelardo Mata, ex Vice Presidente della Conferenza episcopale e ultimo incaricato del dialogo -a quanto pare impossibile- tra il Governo e la società civile.

E gli attacchi si perpetuano dal 19 Aprile ed hanno provocato, sino ad ora, 350 morti e centinaia di migliaia di feriti.

La situazione è davvero insostenibile e, come ribadisce il Cardinale Brenes: “È triste che questo evento si sia verificato, è una grave mancanza di rispetto che sta avvenendo, è deplorevole e spero che tutto questo possa essere fermato, perché non è possibile che questa situazione continui”.

Intanto, le forze armate del Presidente Daniel Ortega, ormai, entrano anche nelle chiese e sparano contro chiunque si opponga alla tirannia dilagante.

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La tratta dei bambini, uno dei più gravi crimini contro l’umanità

A Vienna il seminario “Child Trafficking – From Prevention to Protection” organizzato dalla Presidenza Italiana in esercizio OSCE 2018
Il traffico dei bambini: una delle aberrazioni criminali più drammatiche e raccapriccianti del nostro tempo. Se n’è parlato a Vienna, in occasione del seminario “Child Trafficking – From Prevention to Protection”, organizzato dalla Presidenza italiana in esercizio OSCE 2018 con il supporto dell’Office for Democratic Institutions and Human Rights (ODIHR). Alla conferenza, è intervenuto Salvatore Martinez, presidente della Fondazione Vaticana “Centro internazionale Famiglia di Nazareth”. In particolare, Martinez è giunto nella capitale austriaca nella veste di rappresentante personale della Presidenza italiana in esercizio all’Osce, con delega alla “lotta al razzismo, xenofobia, intolleranza e discriminazione dei cristiani e dei membri di altre religioni”.

Martinez non ha usato giri di parole nel descrivere il fenomeno della tratta dei bambini, che ha peraltro caratterizzato come “omertoso”, mettendo l’accento sulla “consapevolezza che siamo di fronte ad uno dei più gravi crimini contro l’umanità”. Un reato, ha proseguito, che evidenzia anche l’incapacità del mondo politico e dei governi di fornire risposte strutturali a una piaga “che è di grandissima attualità”.

Di fronte a tale incapacità, quello della comunità internazionale è certamente un drammatico fallimento. Soprattutto perché l’impegno quotidiano di tante organizzazioni no profit dimostra che le soluzioni sono possibili, che si può intervenire fattivamente in difesa delle vittime innocenti di  Martinez ha anzi denunciato una progressiva “politicizzazione del problema”, estremamente grave perché  “questi sono fenomeni che non possono essere strumentalizzati e politicizzati perché si sta parlando di diritti fondamentali degli uomini. È importante – ha dichiarato – che gli Stati creino protocolli comuni d’impegno e di rispetto alle tante lacune e anomalie che la questione presenta”.

“Diciamolo senza mezze misure: la tratta di esseri umani è un crimine contro l’umanità – ha poi tuonato il presidente del “Centro internazionale Famiglia Nazareth – una forma di schiavitù che se, di fatto, è sempre esistita nella storia umana, le democrazie moderne oggi stanno sempre più favorendo con il consolidarsi di vecchie e nuove povertà”. Soprattutto, Martinez ha rilevato come tale fenomeno sia sempre esistito, “ma oggi si sta accentuando perché le democrazie moderne, in nome della felicità di pochi, finiscono per impoverire molti consolidando vecchie povertà”.

Anche se non è possibile quantificare il fenomeno, perché non esiste un osservatore unitario, certamente si sa che è più diffuso di quanto si potrebbe pensare: e non solo nei Paesi del terzo mondo, ma anche in Europa. Come se non bastasse, ogni approssimazione è sempre per difetto, perché sono tante, troppe le persone scelgono di non denunciare, per paura delle conseguenze.

Come combattere tale drammatica piaga? Per rispondere a questa domanda, Martinez fa riferimento al concetto di “discontinuità sociale”. “Quando parlo di discontinuità sociale, faccio riferimento al fatto che c’è un mondo imprenditoriale disposto ad investire per un vantaggio di tutti”, ha spiegato. Una forte discontinuità sociale è necessaria soprattutto dove il mondo politico non si mostra all’altezza di rispondere alle sfide. “Dal seminario è emerso che c’è tanta buona volontà che viene dalla società civile e che merita di essere segnalata. In riferimento alla discontinuità generazionale serve che le nuove generazioni si impegnino verso questi temi che purtroppo non vengono affrontati nelle scuole e nelle università”, ha concluso.

Che fine hanno fatto i diritti umani?

Si è celebrato nelle scorse ore il 25esimo anniversario della Conferenza Mondiale sui Diritti Umani. Un anniversario complicato, per le tante violazioni compiute in varie parti del globo, e perché, dopo gli Stati Uniti, anche Israele ha appena annunciato l’intenzione di lasciare il Consiglio dei Diritti Umani. Non a caso, nel suo schietto discorso, l’Alto Rappresentante ONU per i Diritti Umani, il principe giordano Zeid Ra’ad Al Hussein, ha detto che, a un quarto di secolo da allora, il mondo sembra essere guidato “in tutt’altra direzione”.

In quale direzione? “Indietro”, ha specificato l’Alto Rappresentante, “ad un panorama di nazionalismo sempre più stridente e a somma zero, dove gli interessi a breve termine gelosamente custoditi dei singoli leader superano la ricerca di soluzioni ai nostri mali comuni”. Viviamo, per Al Hussein, in “un’era di disprezzo per i diritti delle persone che sono state costrette a fuggire dalle loro case, perché le minacce che affrontano sono più pericolose dei pericoli del loro viaggio”. 

“Indietro”, ha proseguito, “in un periodo di guerre per procura, regionali e globali, in un tempo in cui le operazioni militari potevano colpire deliberatamente civili e ospedali e gas chimici potevano essere apertamente utilizzati a scopi militari”. “Indietro”, ha chiosato, “in un’epoca in cui le critiche venivano criminalizzate e l’attivismo per i diritti umani portava alla prigione, o peggio”.  Un panorama fosco, quello dipinto da Al Hussein. Che qualche mese fa non risparmiò una piccata critica alla gestione italiana della crisi migratoria, definendo l’accordo tra Roma e Tripoli per contenere i flussi migratori verso l’Europa “inhuman”, “inumano”.

Proprio in tale contesto, la celebrazione del 25esimo anniversario della Conferenza Mondiale sui Diritti Umani assume un’urgenza ancora maggiore. Perché riporta alle menti quel 1993, quando 171 Stati del consesso internazionale adottarono la Dichiarazione di Vienna e il Programma di azione, proprio allo scopo di rafforzare i diritti umani nel mondo. Un evento visto come la pietra angolare per i diritti nel mondo post-Guerra Fredda.

Introducendo la Conferenza di martedì, Al Hussein ha in particolar modo denunciato la deriva in corso verso un mondo in cui “razzisti e xenofobi rintuzzano deliberatamente le scintille dell’odio e della discriminazione nell’opinione pubblica”, alzando il livello di attenzione sull’Europa, dove movimenti “etno-populisti” “fomentano odio e divisione”, diffondendo “visioni false e distorte” sui migranti e sull’attività degli attivisti dei diritti umani.

Sottolineando le numerose minacce che affliggono i diritti umani in tutto il mondo, non più trattati come priorità ma “come un pariah”, l’Alto Rappresentante ha lanciato un appello globale: quello di difendere il valore e il significato della Dichiarazione di Vienna. “Dobbiamo usare questo anniversario per cominciare a mobilitare una comunità sempre più ampia, per difendere i diritti umani con la nostra forza e il nostro impegno appassionato”. Perché quello che stiamo vivendo, ha chiosato, è un “punto di svolta”: e la speranza è che la Dichiarazione non finisca per diventare un pezzo da museo delle cere, ma, piuttosto, “la bandiera per un movimento rinascente per costruire la pace e il progresso”.