Falcone scoprì il Signore grazie all’Azione Cattolica e a un carmelitano scalzo

Di Gelsomino Del Guercio

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Si parla poco della fede di Giovanni Falcone. Eppure, il magistrato ucciso dalla Mafia nella Strage di Capaci, è stata una persona molto vicina alla Chiesa.

Nel tempo se ne è allontanato, ma la sua formazione cattolica non l’ha mai dimenticata. Come dimostrerà un episodio che sarà rivelato dalla sorella qualche anno fa.   

Azione Cattolica e parrocchia

Falcone nasce a Palermo il 19 luglio del 1939 da una famiglia borghese. Ad avvicinarlo alla fede è sopratutto la madre, molto religiosa che lo coinvolge sin da bambino alla vita della chiesa. Fa il chierichetto alla santa messa, frequenta l’Azione Cattolica, trascorrendo gran parte dei suoi pomeriggi in parrocchia.

Il richiamo del papà

Maria Falcone, la sorella, nel libro “Giovanni Falcone, un eroe solo”, rivela un piccolo aneddoto sulla Prima Comunione del fratello.

«Mio padre riuscì a rimproverare Giovanni il giorno della sua Prima Comunione. Durante la funzione era visibilmente distratto. Seduto al primo banco con gli altri suoi coetanei, che come lui dovevano ricevere il sacramento, continuava a girarsi per cercare noi familiari con lo sguardo».

Padre Giacinto

Il futuro magistrato, in quegli anni fa la spola tra le parrocchie di Santa Teresa alla Kalsa e quella di San Francesco, nel cuore di Palermo. Nella prima conosce padre Giacinto, un carmelitano scalzo, che diventa il suo cicerone e gli fa visitare il Trentino e Roma. Sono i suoi primi due viaggi lontano da Palermo.

All’età di tredici anni comincia a giocare a calcio all’Oratorio dove, durante una delle tante partite, conosce Paolo Borsellino, con cui si sarebbe ritrovato prima sui banchi dell’università e poi nella magistratura.

In parrocchia si appassiona anche al ping-pong e in una partita gioca con Tommaso Spadaro, personaggio di spicco della malavita locale impegnato nel traffico di stupefacenti e oggi all’ergastolo. Non deve meravigliare che Spadaro frequentasse l’oratorio: era l’unico centro di aggregazione del quartiere, ed era un punto di riferimento per moltissimi adolescenti.

Le due fasce

Di quel periodo ci sono due ricordi indelebili che, da magistrato, Falcone porterà sempre con sé in una scatola. E’ la sorella Maria a svelarli e mostrali alla giornalista Monica Mondo, quando insieme scrivono il libro “Giovanni Falcone. Le idee restano” edito dalla San Paolo.

«Maria apre una cassettina come un reliquiario. Al fondo, sotto un mucchio di foto, c’è il portafoglio di Giovanni, il suo tesserino da magistrato, i biglietti da visita. Ancora più sotto, due strisce di stoffa bianca, raso. Sono stropicciate e conservano pieghe vecchie e affrettate: la fascia della prima comunione, e quella della cresima. Stanno lì da settant’anni. Giovanni le aveva conservate. Quello che hai ricevuto come insegnamento nella vita resta per sempre» (Avvenire, 20 maggio 2017).

Il collaboratore depresso

Quel “per sempre” lo dimostra anche la profonda umanità del giudice. La sorella ricorda un aneddoto:

«un collaboratore di giustizia che doveva essere interrogato a Nizza, ma che era sempre più depresso, non mangiava e non parlava. E Giovanni Falcone fa arrivare la moglie e la figlia facendogli capire che si rendeva conto della sua sofferenza. Da lì è nata la confessione, che non era estorta, ma che era nata da un rapporto umano, di fiducia. Lui Diceva: “Anche nel più efferato dei delinquenti io devo vedere l’uomo”, e questo non è scontato» (Famiglia Cristiana, 22 maggio 2017).

La lezione di Kennedy

D’altro canto Falcone amava mettere in pratica con i fatti quella lezione di un suo grande idolo, J.F. Kennedy che ripeteva spesso:

“Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana”