Si è celebrato nelle scorse ore il 25esimo anniversario della Conferenza Mondiale sui Diritti Umani. Un anniversario complicato, per le tante violazioni compiute in varie parti del globo, e perché, dopo gli Stati Uniti, anche Israele ha appena annunciato l’intenzione di lasciare il Consiglio dei Diritti Umani. Non a caso, nel suo schietto discorso, l’Alto Rappresentante ONU per i Diritti Umani, il principe giordano Zeid Ra’ad Al Hussein, ha detto che, a un quarto di secolo da allora, il mondo sembra essere guidato “in tutt’altra direzione”.

In quale direzione? “Indietro”, ha specificato l’Alto Rappresentante, “ad un panorama di nazionalismo sempre più stridente e a somma zero, dove gli interessi a breve termine gelosamente custoditi dei singoli leader superano la ricerca di soluzioni ai nostri mali comuni”. Viviamo, per Al Hussein, in “un’era di disprezzo per i diritti delle persone che sono state costrette a fuggire dalle loro case, perché le minacce che affrontano sono più pericolose dei pericoli del loro viaggio”. 

“Indietro”, ha proseguito, “in un periodo di guerre per procura, regionali e globali, in un tempo in cui le operazioni militari potevano colpire deliberatamente civili e ospedali e gas chimici potevano essere apertamente utilizzati a scopi militari”. “Indietro”, ha chiosato, “in un’epoca in cui le critiche venivano criminalizzate e l’attivismo per i diritti umani portava alla prigione, o peggio”.  Un panorama fosco, quello dipinto da Al Hussein. Che qualche mese fa non risparmiò una piccata critica alla gestione italiana della crisi migratoria, definendo l’accordo tra Roma e Tripoli per contenere i flussi migratori verso l’Europa “inhuman”, “inumano”.

Proprio in tale contesto, la celebrazione del 25esimo anniversario della Conferenza Mondiale sui Diritti Umani assume un’urgenza ancora maggiore. Perché riporta alle menti quel 1993, quando 171 Stati del consesso internazionale adottarono la Dichiarazione di Vienna e il Programma di azione, proprio allo scopo di rafforzare i diritti umani nel mondo. Un evento visto come la pietra angolare per i diritti nel mondo post-Guerra Fredda.

Introducendo la Conferenza di martedì, Al Hussein ha in particolar modo denunciato la deriva in corso verso un mondo in cui “razzisti e xenofobi rintuzzano deliberatamente le scintille dell’odio e della discriminazione nell’opinione pubblica”, alzando il livello di attenzione sull’Europa, dove movimenti “etno-populisti” “fomentano odio e divisione”, diffondendo “visioni false e distorte” sui migranti e sull’attività degli attivisti dei diritti umani.

Sottolineando le numerose minacce che affliggono i diritti umani in tutto il mondo, non più trattati come priorità ma “come un pariah”, l’Alto Rappresentante ha lanciato un appello globale: quello di difendere il valore e il significato della Dichiarazione di Vienna. “Dobbiamo usare questo anniversario per cominciare a mobilitare una comunità sempre più ampia, per difendere i diritti umani con la nostra forza e il nostro impegno appassionato”. Perché quello che stiamo vivendo, ha chiosato, è un “punto di svolta”: e la speranza è che la Dichiarazione non finisca per diventare un pezzo da museo delle cere, ma, piuttosto, “la bandiera per un movimento rinascente per costruire la pace e il progresso”.

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Giulia Pozzi