Quella volta che Muhammad Alì incontrò Giovanni Paolo II

Screen shot 2016-06-07 at 11.39.09 AMSi è spento all’età di 74 anni Muhammad Alì, il più grande pugile di tutti i tempi. E’ stato stroncato da problemi respiratori che lo avevano portato al ricovero presso l’ospedale di Phoenix. La sua ultima apparizione in pubblico risaliva allo scorso 9 aprile, quando era sembrato molto debole e provato nel corso di una serata di raccolta fondi per la lotta al Parkinson.

Campione olimpico a Roma nel 1960, Clay conquista il mondiale a ventidue anni battendo in sette riprese Sonny Liston il 25 febbraio del 1964. Dopo aver conquistato la corona annuncia di essersi convertito allIslam e di aver assunto il nome di Muhammad Alì. Nel 1966 si rifiuta di partire per il Vietnam e viene condannato a 5 anni di reclusione. Gli viene tolta la licenza di boxare per quasi quattro anni. Sono gli anni dell’impegno nelle battaglie per i diritti civili degli afro-americani, sulla scia di Malcolm X (che nel frattempo era stato assassinato). Alì diventa un’icona oltre lo sport, amata da molti ma anche osteggiata e insultata da molti altri. Quando può tornare alla boxe, perde ai punti l’attesissima sfida con Joe Frazier nel 1971, ma riesce a tornare campione del mondo nel 1974, a Kinshasa, mettendo al tappeto George Foreman, in un incontro passato alla storia e ricordato come uno dei più grandi eventi sportivi di sempre.

Lasciata la boxe, vi sono gli anni della malattia ma anche della continuazione del suo impegno sociale, grazie a un immagine pubblica che gli anni non hanno scalfito.

Quella di Gianni Minà, amico e commentatore delle grandi imprese di Muhammad Alì, è una testimonianza diretta delle gesta di un grande atleta e di un grande uomo. In chiusura di intervista, al minuto 9:34, c’è spazio anche per un toccante aneddoto sullo straordinario incontro avvenuto nel 1982 tra il campione e Papa Giovanni Paolo II.

Armenia, la visita del Papa alle sorgenti della fede cristiana

losservatore-romano_1464189453Come la Chiesa Cattolica in Armenia si prepara ad accogliere il Pontefice? Qual è la situazione nel Paese? Quali sono la realtà che operano nella Chiesa armena? Padre Krikor Badichac, vicerettore del Collegio Armeno Pontificio, prova a dare le necessarie coordinate per comprendere l’Armenia, e cosi prepararsi al meglio al prossimo viaggio del Papa nella nazione, dal 24 al 26 giugno.

Alla fine del 1992 la comunità armena cattolica viene ufficialmente riconosciuta in Armenia con leggi basate sui diritti umani e poi dal 2000 viene riconosciuta la Chiesa Armena e da qui può iniziare anche la sua realtà sociale.

“Dal punto di vista sociale la Chiesa armena cattolica è una realtà vivace – commenta padre Badichac – che agisce principalmente tramite le opere di assistenza di tre protagonisti: la Caritas Armena, l’ospedale donato da Giovanni Paolo II e a lui intitolato (è l’unico ospedale qualificato gratuito ) e le Suore, fondate da Madre Teresa,nate nel 1989 dopo il terribile terremoto che colpì l’Armenia”. Padre Badichac spiega il ruolo importante di queste suore: “Si occupano dei bambini nati con malattie gravi, questi bambini sono destinati alla morte e loro se ne prendono cura nella loro casa di solidarietà”.

Poi il vice rettore prosegue parlando di un’altra congregazione importante in Armenia, le Suore Armene dell’Immacolata Concezione:” Fondata nel 1846 a Costantinopoli con il preciso intento di provvedere all’istruzione e all’educazione, la congregazione si dedicò soprattutto alle fanciulle povere armene e le aiutarono durante il genocidio armeno, consolarono e soccorsero le famiglie bisognose e mandarono 400 orfanelle nella villa di Pio XII a Castel Gandolfo”.

“Con l’indipendenza dell’Armenia nel 1991 – spiega padre Badichah –  si realizza il sogno delle suore armene e questo apre un campo grandissimo per le suore che proseguono il loro operato con tante attività: ogni anno organizzano un “summer camp” e l’obiettivo è quello di fornire un ambiente di apprendimento e portare gioia a 800 giovani orfani, di 8-14 anni, provenienti da tutta l’Armenia. Il campo si fa anche catechismo, ci si dedica allo sport, alla fratellanza, per provare a diminuire l’impatto forte della povertà nella loro vita. Le suore armene hanno anche un centro educazionale, un centro sociale educativo, sicuramente Papa Francesco avrà qualche minuto per visitarlo.  Il centro si impegna a creare un ambiente il cui bambino sviluppa le sue attività: fisiche, mentali, ecc …e offre tutti i mezzi necessari a questi ragazzi, fornisce cibo, libri, tutto gratuitamente”.

“La fede in Armenia è ancora viva – rassicura il vicerettore – gli anziani raccontano con le lacrime le memorie terrificanti del passato, ma rendono grazie al Signore per i doni che ricevono dalla Chiesa e guardano con fiducia al futuro dei loro bambini”.

Riguardo la visita del Papa, Padre Badichah dice: “Si tratta di un pellegrinaggio alle sorgenti della fede, il popolo armeno fu il primo popolo ad abbracciare il cristianesimo come religione di stato nel 301, dunque è la visita del Santo Padre alla prima nazione cristiana ed è una visita di natura ecumenica”.

Il Papa parla dei migranti ai bambini giunti dalla Calabria

2016-05-28 L’Osservatore Romano

Foto Osservatore Romano/LaPresse28-05-2016 Città del Vaticano, VaticanoCronacaIl Papa ha ricevuto questa mattina in Udienza, nell’Atrio dell’Aula Paolo VI:  Partecipanti al “Treno dei Bambini”.DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE

Vertice in Vaticano sull’emergenza migranti. Sabato a mezzogiorno, nell’atrio dell’aula Paolo VI, hanno preso la parola Osayande, un giovane nigeriano che ha visto morire accanto a sé in mare la propria famiglia, e quattrocento alunni delle scuole medie calabresi, arrivati alla stazione vaticana con il treno dei bambini. Papa Francesco si è presentato all’incontro portando in mano il giubbotto salvagente di una bimba siriana morta mentre cercava di raggiungere con i genitori la spiaggia di Lesbo: insieme ai disegni donatigli dai piccoli durante la visita al campo profughi dell’isola greca, il Pontefice custodisce il salvagente tra le sue cose più care, da mercoledì scorso, quando, durante l’udienza in piazza San Pietro, lo ha ricevuto dalle mani di Óscar Camps, responsabile dell’associazione spagnola Proactiva Open Arms, in lacrime per non essere riuscito a salvare quella giovanissima vita.

Per prima cosa, il Papa ha stretto in un abbraccio il ragazzo nigeriano che gli ha subito confidato di aver trovato a Lamezia Terme, in don Giacomo Panizza e nella sua comunità per minori stranieri, quel riferimento che lo ha portato a essere accolto da una famiglia italiana. Insieme hanno ha recitato l’avemaria, nel ricordo di tutti i migranti morti in mare. E soprattutto nel ricordo di quella piccola siriana: aveva appena sei anni, ha detto il Papa, e non sappiamo neppure quale fosse il suo nome. Ma «ognuno di voi — ha chiesto ai ragazzi calabresi — le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo e ci guarda. Chiudiamo gli occhi, pensiamo a lei e diamole un nome». Con la certezza, ha aggiunto, che la Madonna la stringe in un abbraccio per darle un bacio.

Con i bambini Francesco ha quindi dato vita a un vivacissimo scambio di pensieri su come e perché accogliere i migranti. Prendendo spunto dal disegno di Giuseppe, che il Papa ha chiamato accanto a sé per spiegare la bellezza di un gruppo di bambini, con i colori della pelle diversi, che giocano insieme. E poi il dialogo aperto, senza giri di parole, con Antonio, Guglielmo, Ariston (fuggito dallo Sri Lanka) e Sabba. L’emergenza dei migranti è stata affrontata dal Papa e dai suoi giovani interlocutori a partire dall’immagine evocativa delle onde del mare: quel mare che in Calabria è tanto bello ma che, purtroppo, a volte diventa persino sepolcro per i migranti in cerca di salvezza, di una vita migliore, di un lavoro.

Nel botta e risposta con i ragazzi, il Pontefice ha sollecitato tutti a destarsi dall’indifferenza e a rompere gli indugi per accogliere gli altri come fratelli. L’accoglienza — ha spiegato — significa prendersi cura dell’altro. E a questo proposito ha attualizzato la parabola del buon samaritano, invitando i presenti a compiere gesti concreti di accoglienza: stringere la mano, allargare le braccia e avere anche quella tenerezza che porta a dare un bacio, una carezza.

AFP_BA42Z«I migranti non sono un pericolo, ma sono in pericolo» ha ripetuto il Papa, citando una frase della lettera che gli hanno scritto i bambini per chiedergli di incontrarlo. E su questa verità il Pontefice ha insistito, chiedendo di ripetere più volte e a voce alta: «Non sono un pericolo, ma sono in pericolo». Perché lo straniero non è pericoloso e cattivo. E non deve spaventare solo perché ha un colore diverso della pelle, un cultura o una religione differente. La vita, infatti, è condividere, perché siamo tutti fratelli e abbiamo Dio come padre. Sollecitato da un bambino che gli ha chiesto come si possa dirsi cristiani, andare a messa, e poi rifiutare i migranti, Francesco ha parlato apertamente di ipocrisia. Invitando a non essere egoisti, ma ad avere il coraggio di compiere scelte generose di condivisione. Da parte loro i bambini hanno espresso al Papa la loro indignazione di fronte alla mancata accoglienza che è sempre «un’ingiustizia». E Antonio, dieci anni, è arrivato a dire che le persone che non fanno accoglienza «sono bestie». In realtà — ha precisato il Papa — Antonio non voleva insultare nessuno ma il cuore dell’uomo deve essere capace di tenerezza.

Francesco non ha mancato di ricordare i veri valori del gioco e dello sport, il senso di «fare squadra insieme», riprendendo le parole di una bambina romana secondo cui lo sport insegna l’amicizia, a «non barare e a rispettare il prossimo». E ha risposto alla domanda di un’altra ragazzina romana su cosa prova a essere Papa. Semplice, la risposta: «me lo ha chiesto Gesù».

Il treno con i bambini, un Frecciargento partito da Lamezia stamane alle 6, è arrivato alle 11.20 alla stazione vaticana. Ad accompagnarli la presidente del gruppo Ferrovie dello Stato, Gioia Ghezzi. Ad accoglierli i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, promotore dell’iniziativa nell’ambito del Cortile dei gentili. I ragazzi sono arrivati cantando «Portati dalle onde», accompagnati anche da sessanta coetanei che fanno parte dell’orchestra Quattrocanti di Palermo, un realtà che sta offrendo grandi opportunità di riscatto a molti giovani proprio attraverso la musica. E da cinquanta rappresentanti dell’associazione romana Sport senza frontiere, impegnata nelle periferie nel garantire opportunità di svago gratuite per favorire l’inserimento sociale.

​Trenta fotografi per il giubileo di Francesco

2016-05-30 L’Osservatore Romano

ETHIOPIA. Omo Valley, 2014. Two boys sit outside a school.NN11430884.jpg

Le parole di Papa Francesco, fin dall’inizio del pontificato, hanno portato davanti ai nostri occhi la sofferenza del mondo, l’emarginazione, la povertà. Poveri, periferie, lacrime: parole desuete che sono tornate, con i suoi interventi, prepotentemente alla ribalta. Lo scrive Lucetta Scaraffia aggiungendo che insieme con l’appello alla misericordia: una misericordia attiva, che deve diventare capacità concreta di incidere sul mondo, di contrastare il male con il bene. L’elenco di sofferenze che vengono evocate ogni giorno non deve solo straziare i nostri cuori, ma diventare occasione per cambiare la nostra vita, per darle significato intervenendo in aiuto ai sofferenti.

Ma nel nostro mondo le parole non contano, neppure quelle del Papa. Siamo abituati a farci toccare il cuore solo attraverso le immagini, cioè i filmati e le fotografie. Solo vedendo il nostro cuore si commuove, solo dopo avere visto con i nostri occhi siamo capaci di fare qualcosa di buono. E non sempre le immagini della televisione e dei giornali restituiscono fedelmente ciò che accade: le ragioni di questo silenzio sono molte, in primo luogo la difficoltà di trovarsi proprio là, dove le peggiori sventure accadono. E non sempre i fotografi sanno cogliere in un volto, in una mano, in un gesto, la potenza del dramma. Lo sanno fare solo i grandi fotografi, gli artisti.

Molto importante, quindi, e opportuna è l’iniziativa «My Jubilee» — di ArtsFor in collaborazione con la fondazione Ente dello Spettacolo — di dare visibilità alle parole del Papa attraverso le immagini di grandi fotografi, collaboratori di una delle più grandi agenzie fotografiche del mondo, la Magnum. Non è un evento secondario infatti che per Francesco si sia mossa proprio questa agenzia, nata nel 1947 come cooperativa che riuniva i più grandi fotografi del momento (Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour). Ancora oggi è fra le più prestigiose e autorevoli del mondo, raccoglie fotografi indipendenti, con sedi a New York, Londra, Parigi e Tokyo.

Si apre così una collaborazione fra trenta fotografi di grande nome, forse anche lontani dalla religione e — proprio per il duro mestiere che fanno — disincantati, e il capo visibile della Chiesa. Si tratta di una novità importante, che fa capire quanto volino lontano le parole del Papa, quanto la misericordia da lui invocata per il giubileo possa toccare persone che magari non si sentono parte della Chiesa, tanto da renderle testimoni del suo messaggio. Così, a piccoli ma significativi passi, la rivoluzione della misericordia cammina: vedendo quei volti devastati, quei gesti disperati, ogni essere umano si sente interpellato nel profondo del suo cuore. E diventa così più difficile costruire muri, cacciare profughi (e dare il proprio voto a chi promette di farlo).

A Sotto il Monte le esequie del cardinale Capovilla

2016-05-30 Radio Vaticana

RV10197_LancioGrandeUna celebrazione sobria, ma molto partecipata: si sono svolte così, stamane, a Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, le esequie del cardinale Loris Francesco Capovilla, scomparso il 26 maggio scorso all’età di 100 anni. La liturgia è stata presieduta dal vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, che ha concelebrato con alcuni vescovi della Lombardia, altri nativi della diocesi di Bergamo e altri legati da affetto al compianto porporato. Al termine della celebrazione, mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e successore del card. Capovilla alla guida di questa diocesi, ha tenuto la commemorazione del porporato.

Fedeltà assoluta e leale ai Successori di Pietro
In particolare, il presule ha ricordato alcune caratteristiche del cardinale scomparso, storico segretario di Papa Giovanni XXIII, tra cui “la percezione della cattolicità della Chiesa e l’urgenza di amarla obbedendo a Dio e seguendo il Papa nell’aprirsi con Lui al soffio vigoroso del rinnovamento fedele ispirato dallo Spirito del Signore”. “La fedeltà assoluta, leale e libera ai Successori di Pietro – ha detto il presule – è stata una costante dell’intera esistenza di don Loris”. Centrale anche, nella vita del card. Capovilla, la parola “riforma”: “Ispirato dalla profezia del Concilio Vaticano II, da lui totalmente sposata – ha sottolineato mons. Forte – egli si spese senza risparmio per tradurla nella vita della Chiesa”.

Cardinale misericordioso, uomo buono, amico fedele
L’arcivescovo di Chieti-Vasto ha infine letto alcune parole scritte da Elisa, figlia di Marco Roncalli, nipote di Papa Giovanni XXIII: “Era un uomo veramente grande, Loris Francesco Capovilla. Amava la storia e ne traeva insegnamenti. Non era solo sapiente, era anche saggio”. “Pur consapevole dei propri limiti, nutriva una speranza sconfinata nell’avvenire – scrive Elisa – Si sarebbe privato di tutto, pur di aiutare il prossimo. È stato un prete, un vescovo, un cardinale misericordioso, un uomo buono, un amico fedele. Mi dicevi sempre che, quando una persona muore, in realtà  torna a casa. E io sono sicura che tu ora stia bene Si è spento Capovilla? No, per me si è acceso”.

Tumulato accanto a padre David Maria Turoldo
Deposto in una “bara da poveri”, secondo il suo espresso desiderio, il card. Capovilla è stato poi tumulato presso l’antica abbazia di Fontanella di Sotto il Monte, vicino all’amico padre David Maria Turoldo. (I.P.)

(Da Radio Vaticana)

STREETS of New York

Streets of New York e’ la nuova serie di TeleMATER basata sulle storie di vita dei newyorkesi: musicisti di strada, imprenditori, immigranti… Condividiamo con voi le sensazioni e l’energia di una delle piu’ sensazionali e meravigliose citta’ del mondo, Streets of New York espone la complessita’ e la diversita’ della societa’ di New York incontrando e abbraciando tutte le “differenze umane” e il modo unico con cui vivono la loro “fede”.

Andrea: l’operazione, i viaggi negli orfanotrofi e quei 136mila contatti facebook

L’entusiasmante scelta di vita di un ragazzo di 26 anni originario di Ragusa: dieci anni fa l’operazione contro il tumore alla testa che lo ha lasciato vivo ma parzialmente smemorato, poi i viaggi in ogni angolo del mondo – in almeno 90 nazioni – la totale dedizione ai bambini e, il 20 marzo 2016 l’invito a parlare all’Assemblea dell’Onu. Ora ha una comunità enorme che lo segue sul social network, con centinaia di persone che gli scrivono ogni giorno, condividendo gioie e dolori. L’abbiamo raggiunto

Questa è una storia di quelle che quando le senti non te le dimentichi più. Così come non se la dimenticheranno le 100mila persone che finora hanno condiviso ai propri contatti di facebook un singolo post: quello in cui il 26enne siciliano Andrea Caschetto apriva cuore e mente al mondo, raccontando la sua incredibile vita. Eccone l’inizio.

Andrea, hai un tumore nel cervello. Quando sentii quella frase, non ebbi paura

Nel novembre 2005, quando aveva soli 15 anni, Andrea fu operato al Besta di Milano dal dottore Francesco Dimeco con la sua equipe. “L’operazione era difficile, rischiavo di perdere la parola o qualcosa in più. Ma il medico è stato un fenomeno”. Il risveglio è stato, però, molto duro. “Avevo difficoltà nell’esprimermi, nel mandare segnali di comprensione. Iniziai a farmi portare per quell’ospedale sulla sedia a rotelle, poi anche in città. Le persone mi fissavano, ma quando muovevo la testa per guardarle, automaticamente toglievano lo sguardo. Prima dell’operazione non studiavo mai e avevo voti altissimi. Seguivo per bene le lezioni e non avevo bisogno di fare esercizi a casa. Dopo mi ritrovai smemorato e con una concentrazione pessima, non memorizzavo più niente”.Andrea non si è abbattuto: ha lottato, tanto. Così da recuperare, nel tempo, quella memoria che bastava per arrivare a una laurea specialistica in Media marketing e business e a un master in Cooperazione e vulnerabilità, alla Cattolica di Milano. Prima e dopo, ha viaggiato. Senza tregua, in tutto il mondo, Asia e Africa in particolare, ma i Paesi visitati nel mondo oggi all’attivo sono almeno 90. L’ultima grande esperienza, il giro del mondo per orfanotrofi. Di foto, racconti e video (qui l’oramai celebre – quasi 5milioni di visualizzazioni – “minuto di sorrisi”), la sua pagina facebook è piena.

Screen shot 2016-05-23 at 7.35.35 PM

Dietro al fatto che metto su facebook ogni ricordo di viaggi e incontri c’è un piccolo segreto: dopo l’operazione ho recuperato molta capacità di memoria, ma non tutta. Dopò un po’ di tempo tendo a dimenticarmi alcune cose, fissandole sul social network posso recuperarle quando voglio

Grazie a questo metodo, Andrea di recente ha potuto ripercorrere il suo viaggio tra gli orfanotrofi per scriverne un libro, che si chiamerà Dove nasce l’arcobaleno e sarà edito da Giunti. “Saranno sette storie di bambini incontrati in altrettanti orfanotrofi nel mondo delle svariate decine che ho visitato. Ogni bimbo sarà chiamato con un colore dell’arcobaleno, per tutelare la sua privacy e per dare un senso di speranza per il loro futuro”. Nessun dubbio che i proventi del libro vadano poi in beneficenza, così come sono andati tutti gli aiuti economici che ha ricevuto finora. “Beh, quasi tutti, l’unica raccolta fondi che ho fatto per me stesso sono stati i 320 euro necessari a procurarmi i visti per viaggiare da uno Stato dell’Africa all’altro”; sottolinea. Il resto è ospitalità gratuita, couchsurfing, tanta condivisione. Andrea è un community builder, perché si attiva – e fa attivare le persone con un semplice messaggio su facebook – per generare azioni virtuose per la collettività, in particolare per i bambini bisognosi. “Una volta ho raccolto duemila euro in un paio d’ore per Douda, una bambina che sta venendo operata alla testa proprio in questo periodo a Roma”, racconta. Una delle tante volte. Il suo impegno non è passato inosservato nemmeno alle Nazioni unite: “Sempre tramite i social network, un referente dell’associazione giovani diplomatici mi ha contattato e, il 20 marzo 2016, in occasione della Giornata mondiale della Felicità, ho parlato davanti all’assemblea generale dell’Onu. Un momento indescrivibile”. Così come la standing ovation che gli è stata tributata, e che lui non poteva mancare di riprendere.

Andrea3
Andrea4
Andrea5

Tendo a ricordarmi le cose belle e dimenticarmi le brutte. Non sono mai triste, e non lo ero nemmeno prima dell’operazione

Una vita, quella del giovane ragusano, che ora è totalmente dedita a viaggiare e a darsi all’altro. “Non so cosa mi riserverà il futuro, di certo spero di avere una mia famiglia, ma ora per me l’importante è continuare su questa strada”. Tra pochi giorni partirà per la Bosnia, accompagnato da Chiara Belliti, una editor che vuole vedere di prima mano come Andrea opera negli orfanotrofi. Poi sarà di nuovo la volta dell’Africa, con un progetto nuovo di zecca, nato anche questo da un incontro: quello con il creatore del braccialetto Amyko, strumento multimediale che contiene le informazioni necessare per fare uscire dalle difficoltà e in certi casi salvare la vita a persone vulnerabili in caso di emergenza, come bambini o persone malate di Alzheimer che si perdono. “Il nostro progetto si chiamerà Amyko nel sorriso: chiunque comprerà un braccialetto aderendo all’iniziativa, contribuirà alla costruzione di una scuola in Nigeria, dato che stiamo raggiungendo un accordo affinché il 50% del costo andrà a suor Enza, la persona di riferimento nel Paese africano che ho conosciuto direttamente”, spiega Andrea. Nel frattempo la comunità di persone che lo segue sulla pagina facebook aumenta di minuto in minuto: “mi arrivano ogni giorno centinaia di messaggi, tra questi molti di persone che hanno lottato o lottano contro un tumore oppure hanno familiari che ce l’hanno o non ce l’hanno fatta: tutti mi raccontano le loro storie. Ognuno si sente rinvigorito dalla mia esperienza, e ogni nuova conoscenza mi trasmette bellissime sensazioni”.

Amyko

L’impatto clamoroso del messaggio di Andrea porta con sé una precisa scelta di campo del ragazzo siciliano, in particolare legata a questi tempi difficili legati a migliaia di persone che fuggono anche dai posti che lui va a conoscere: “In ogni nazione che ho visitato, anche nei posti più umili del mondo, ho sempre avuto la porta aperta, mi è stato offerto quel poco che ognuno aveva a disposizione. Proprio per questo trovo orribile, oggi più che mai, rinchiudersi dietro barriere e non accogliere chi viaggia verso la speranza di una vita migliore. Di certo Dio non ha creato barriere, dobbiamo essere gli uni rispettosi degli altri, vivendo e lasciando vivere: è questo che dovrebbe insegnare la televisione, anziché alimentare il terrore del diverso”. Grazie, Andrea, e buon viaggio.

Quando migliaia di persone videro Gesù in cielo

Screen shot 2016-05-23 at 7.31.31 PMÈ un grande miracolo di cui probabilmente non avete mai sentito parlare.

Domenica 3 ottobre 1847, più di 2000 persone videro a Ocotlán, in Messico, un’immagine perfetta di Gesù Cristo crocifisso apparsa in cielo per oltre 30 minuti.

Approvato dall’arcidiocesi di Guadalajara nel 1911, il fenomeno è noto come “miracolo di Ocotlán” ed ebbe luogo il giorno prima di un terremoto che uccise 40 persone e ridusse in macerie la città dello Stato di Jalisco.

Prima dell’inizio della Messa al cimitero della cappella dell’Immacolata Concezione, presieduta dal vicario parrocchiale, padre Julián Navarro, due nuvole bianche si unirono in cielo e apparve l’immagine di Cristo.

I presenti e chi abitava nelle città vicine rimasero profondamente colpiti, fecero atti di contrizione e gridarono “Misericordia, Signore!” Questa apparizione di Cristo venne chiamata “il Signore della Misericordia”, e in suo onore nel settembre 1875 venne benedetta, consacrata e dedicata una nuova parrocchia.

Tra i fedeli che testimoniarono il miracolo c’erano anche padre Julián Martín del Campo, pastore della comunità, e Antonio Jiménez, il sindaco locale. Entrambi inviarono delle lettere ai rispettivi superiori riferendo ciò che era accaduto.

Dopo il miracolo, venne scritto un resoconto dell’evento con la testimonianza di 30 testimoni oculari. Cinque anni dopo, nel 1897, per ordine dell’allora arcivescovo di Guadalajara, Pedro Loza y Pardavé, venne scritto un nuovo resoconto con altri 30 testimoni, tra i quali cinque sacerdoti.

Il 29 settembre 1911, l’arcivescovo di Guadalajara dell’epoca, José de Jesús Ortiz y Rodríguez, firmò un documento che avvalorava l’apparizione di Cristo a Ocotlán e la devozione e la venerazione della gente della zona alla statua di Nostro Signore della Misericordia, collocata nel santuario omonimo.

“Dobbiamo riconoscere come fatto storico, perfettamente provato, l’apparizione della beata immagine di Gesù Cristo crocifisso… e che non avrebbe potuto essere opera di un’allucinazione o di una frode, visto che è avvenuta in pieno giorno, davanti a più di 2000 persone”, affermò il cardinale.

Il porporato dichiarò anche che perché il Signore della Misericordia non venisse mai dimenticato i fedeli dovevano “riunirsi in qualsiasi modo possibile, dopo aver purificato la propria coscienza con i santi sacramenti della Penitenza e della Santa Comunione, e giurare solennemente alla presenza di Dio, per se stessi e per i loro discendenti, che anno dopo anno avrebbero celebrato l’anniversario del 3 ottobre”.

Dopo l’approvazione e per conformarsi alle disposizioni dell’arcivescovo di Guadalajara, nel 1912 si avviarono festeggiamenti pubblici in onore del Signore della Misericordia, ricordando il miracolo del 1847. Le celebrazioni attualmente durano 13 giorni, dal 20 settembre al 3 ottobre.

Nel 1997 San Giovanni Paolo II ha inviato la sua benedizione apostolica alla popolazione di Ocotlán in occasione del 150° anniversario del miracolo.

L’abbraccio di Papa Francesco e l’Imam di Al-Azhar

Un incontro storico e atteso. Papa Francesco ha ricevuto in udienza il Grande Imam di Al-Azhar, S.E. Prof. Ahmad Muhammad Al-Tayyib. L’incontro, avvenuto alle ore 12, si è svolto nella Biblioteca privata del Papa e il colloquio privato è durato circa 30 minuti.

Il Grande Imam era accompagnato da una Delegazione di otto persone ed è stato accolto e accompagnato a incontrare il Pontefice dal Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Card. Jean-Louis Tauran, e dal Segretario dello stesso Dicastero, Mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot.

Nel colloquio, molto cordiale, come riferisce il comunicato stampa della Sala Stampa Vaticana, i due si sono intrattenuti principalmente sul tema del comune impegno delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo, il rifiuto della violenza e del terrorismo, la situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel Medio Oriente e la loro protezione.

Il Papa ha regalato al Grande Imam il Medaglione dell’ulivo della pace e una copia della sua
Lettera Enciclica Laudato si’. Papa Francesco ha spiegato a lungo all’Imam il significato del medaglione della pace, una roccia spezzata dove vi cresce un ulivo.

Alla fine dell’incontro il Papa e l’Imam si sono scambiati un abbraccio e il Papa ha detto:” Il nostro messaggio è l’incontro di oggi”.

il Grande Imam, con la Sua Delegazione, si è ancora intrattenuto per un breve incontro con il Card. Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, accompagnato da Mons. Ayuso Guixot, Segretario del Dicastero e la loro Delegazione.
Il Grande Imam ha lasciato il Palazzo Apostolico poco dopo le ore 13, come riferisce il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.

Iraq, dove i cristiani non rinnegano la fede “neanche per finta”

Screen shot 2016-05-23 at 7.16.03 PMIn Iraq “non abbiamo notizia di nessun cristiano che si sia convertito all’Islam, anche per finta, magari per mantenere la casa o il lavoro”. A raccontarlo è il nunzio apostolico, monsignor Alberto Ortega. L’arcivescovo, di passaggio a Roma, ha celebrato una Messa nella Basilica dei Santi Apostoli. Il Vangelo del giorno riportava le dure parole di Gesù: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo tagliala, è meglio per te entrare nella vita con una mano sola anziché con le due mani essere gettato nella Geènna…”. L’arcivescovo ha commentato: “Qual è il contenuto di questa vita? In cosa consiste entrare nel Regno di Dio? ‘Siete di Cristo’. Questo è il contenuto della vita, la consistenza della nostra vita: essere di Cristo, appartenere a Lui. Lo hanno capito benissimo i cristiani in Iraq, che ho avuto la grazia di conoscere e visitare spesso, soprattutto quelli che sono stati perseguitati e hanno perso tutto per mantenere questa amicizia con il Signore, per mantenere la fede”.

Quando i miliziani dell’Isis arrivano sono tre le possibilità che si aprono per chi non è musulmano: la conversione, il pagamento di una tassa, oppure andarsene abbandonando tutto. “E tutti, tutti se ne sono andati – ha sottolineato monsignor Ortega – , non abbiamo notizia di nessuno che si sia convertito all’Islam, anche per finta, magari per mantenere la casa o il lavoro. Tutti hanno abbandonato tutto quanto e hanno perso tutto per affermare la fede, per testimoniare l’amicizia con il Signore. Li ho ringraziati per questa testimonianza”. Monsignor Ortega ha visitato i campi degli sfollati nel Kurdistan, dove le condizioni di vita, dopo due anni, sono ancora molto precarie. “Una intera famiglia vive in una sola stanza, con i materassi da una parte, e la sera li stendono per terra per dormire, e le pareti piene di immagini di Gesù, della Madonna dei Santi”. Qui monsignor Ortega ha potuto toccare con mano anche la carità della Chiesa universale verso i propri figli chiamati a vivere questa persecuzione. Tutto ciò che queste persone hanno per mantenersi viene dalla Chiesa”.

In Iraq, il nunzio ha celebrato il Natale e la Pasqua, e ha aperto una porta santa della Misericordia. “Di fronte a una tragedia così solo la Misericordia può dare risposta – ha detto -, un amore più grande che ha vinto il male, che è più forte del male. Soltanto la misericordia è l’unica vera risposta alla situazione dell’uomo, alle violenze, alle fatiche, alle contraddizioni. A loro dico sempre: il Signore, per cui avete perso tutto, è Colui che vi può dare la forza anche oggi, Colui che vi sostiene e può portare a compimento la vostra vita, e li invito a essere sempre più attaccati al Signore e a sostenersi in questo gli uni con gli altri”. Ecco “il segreto della vita”, in Iraq come in Italia: “L’amicizia con il Signore, essere attaccati a Lui, ‘cercarlo giorno e notte’”. Dai cristiani iracheni “impariamo il valore della testimonianza: il nostro contributo al mondo non consiste nel fare qualcosa ma perché ‘siamo di Cristo’”. E ha concluso con un augurio, sempre con le parole del Vangelo: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.