“Uniti ai cattolici cinesi, siano segno di riconciliazione”

Papa Francesco invita tutti a unirsi «spiritualmente» ai fedeli cinesi, ai quali chiede di essere «segno concreto di carità e di riconciliazione». Il Pontefice all’Angelus odierno in piazza San Pietro prega anche per «il Primo Vertice Umanitario Mondiale, finalizzato a riflettere sulle misure da adottare per venire incontro alle drammatiche situazioni umanitarie causate da conflitti, problematiche ambientali ed estrema povertà». «La carne dell’umanità», afferma, è «ferita dall’ingiustizia, dalla sopraffazione, dall’odio e dall’avidità» ma lo Spirito Santo dà la forza «per essere lievito di comunione, di consolazione e di misericordia».

Canonization_2014-_The_Canonization_of_Saint_John_XXIII_and_Saint_John_Paul_II_(14036966125)Dopo la recita della Preghiera mariana dell’Angelus, il Vescovo di Roma sottolinea: «Martedì, 24 maggio, ci uniremo spiritualmente ai fedeli cattolici in Cina, che in quel giorno celebrano con particolare devozione la memoria della Beata Vergine Maria “Aiuto dei Cristiani”, venerata nel santuario di Sheshan a Shanghai». Il Papa aggiunge: «Chiediamo a Maria di donare ai suoi figli in Cina la capacità di discernere in ogni situazione i segni della presenza amorosa di Dio, che sempre accoglie e perdona. In questo Anno della Misericordia possano i cattolici cinesi, insieme a quanti seguono altre nobili tradizioni religiose, divenire segno concreto di carità e di riconciliazione».Così, «essi promuoveranno un’autentica cultura dell’incontro e l’armonia dell’intera società». «Quell’armonia – aggiunge senza leggere il testo scritto – che ama tanto il popolo cinese».

In piazza per l’Angelus sono molti i rappresentanti delle comunità cattoliche cinesi a Roma e in Italia.

Francesco evidenzia anche che «domani inizierà a Istanbul, in Turchia, il Primo Vertice Umanitario Mondiale, finalizzato a riflettere sulle misure da adottare per venire incontro alle drammatiche situazioni umanitarie causate da conflitti, problematiche ambientali ed estrema povertà». Il Papa esorta ad accompagnare «con la preghiera i partecipanti a tale incontro perché si impegnino pienamente a realizzare l’obiettivo umanitario principale: salvare la vita di ogni essere umano, nessuno escluso, in particolare gli innocenti e i più indifesi». «La Santa Sede – comunica – prenderà parte a questo vertice» con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.

Il Pontefice chiede un applauso «per tanti bravi preti che ci sono qui in Italia». Papa Francesco dedica ai sacerdoti italiani il gesto di approvazione che si leva dai fedeli in piazza San Pietro: avviene nel momento in cui ricorda che ieri, a Cosenza, «è stato proclamato Beato Francesco Maria Greco, sacerdote diocesano, fondatore delle Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori. Tra il secolo diciannovesimo e il ventesimo è stato animatore della vita religiosa e sociale della sua città, Acri, dove ha esercitato tutto il suo fecondo ministero. Rendiamo grazie a Dio per questo prete esemplare».

Prima dell’Angelus, il Papa ha affermato: «La festa della Santissima Trinità ci invita ad impegnarci negli avvenimenti quotidiani per essere lievito di comunione, di consolazione e di misericordia. In questa missione, siamo sostenuti dalla forza che lo Spirito Santo ci dona: essa cura della carne dell’umanità ferita dall’ingiustizia, dalla sopraffazione, dall’odio e dall’avidità».

«La Vergine Maria – invoca – nella sua umiltà, ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. Ci aiuti Lei, specchio della Trinità, a rafforzare la nostra fede nel Mistero trinitario e ad incarnarla con scelte e atteggiamenti di amore e di unità».

«Il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio-comunione ci chiama – evidenzia Francesco – a comprendere noi stessi come esseri-in-relazione e a vivere i rapporti interpersonali nella solidarietà e nell’amore vicendevole. Tali relazioni – osserva – si giocano, anzitutto, nell’ambito delle nostre comunità ecclesiali, perché sia sempre più evidente l’immagine della Chiesa icona della Trinità. Ma si giocano in ogni altro rapporto sociale, dalla famiglia alle amicizie all’ambiente di lavoro»: queste vanno intese come «occasioni concrete che ci vengono offerte per costruire relazioni sempre più umanamente ricche, capaci di rispetto reciproco e di amore disinteressato».

Ancora: «Dio è una famiglia di tre Persone che si amano così tanto da formare una cosa sola. Questa famiglia divina non è chiusa in sé stessa, ma è aperta, si comunica nella creazione e nella storia ed è entrata nel mondo degli uomini per chiamare tutti a farne parte». Papa Francesco spiega così la verità di fede più complicata: «Il mistero della Trinità che ci parla di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Infatti, mediante il Battesimo, lo Spirito Santo ci ha inseriti nel cuore e nella vita stessa di Dio, che è comunione di amore».

Il Papa alle religiose

Nella mattinata di ieri, giovedì 12 maggio, il Santo Padre Francesco ha incontrato nell’Aula Paolo VI le partecipanti all’Assemblea Plenaria delle Superiore Generali, in corso a Roma sul tema: “Tessere la solidarietà globale per la vita” e programmata a chiusura delle celebrazioni del Giubileo per i 50 anni dell’UISG. L’incontro del Santo Padre con le Superiore Generali – oltre ottocento, provenienti da tutto il mondo – si è svolto in forma di dialogo. Di seguito riportiamo la trascrizione del colloquio:

Colloquio del Santo Padre

Prima domanda Per un migliore inserimento delle donne nella vita della Chiesa Papa Francesco, Lei ha detto che “il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita della Chiesa e della società”, e tuttavia le donne sono escluse dai processi decisionali nella Chiesa, soprattutto ai più alti livelli, e dalla predicazione nell’Eucaristia. Un importante impedimento all’abbraccio pieno della Chiesa del “genio femminile” è il legame che sia i processi decisionali che la predicazione hanno con l’ordinazione sacerdotale. Lei vede un modo per separare dall’ordinazione sia i ruoli di leadership che la predicazione all’Eucaristia, in modo che la nostra Chiesa possa essere più aperta a ricevere il genio delle donne, in un futuro molto prossimo?

Papa Francesco Sono varie cose qui che dobbiamo distinguere. La domanda è legata alla funzionalità, è legata molto alla funzionalità, mentre il ruolo della donna va oltre. Ma io adesso rispondo alla domanda, poi parliamo… Ho visto che ci sono altre domande che vanno oltre. E’ vero che le donne sono escluse dai processi decisionali nella Chiesa: escluse no, ma è molto debole l’inserimento delle donne lì, nei processi decisionali. Dobbiamo andare avanti. Per esempio – davvero io non vedo difficoltà – credo che nel Pontificio Consiglio Giustizia e Pace che porta avanti la segreteria sia una donna, una religiosa. E’ stata proposta un’altra e io l’ho nominata, ma lei ha preferito di no, perché doveva andare da un’altra parte a fare altri lavori della sua Congregazione. Si deve andare oltre, perché per tanti aspetti dei processi decisionali non è necessaria l’ordinazione. Non è necessaria.  Nella riforma della Cost. ap. Pastor Bonus, a proposito dei Dicasteri, quando non c’è la giurisdizione che viene dall’ordinazione – cioè la giurisdizionale pastorale – non si vede scritto che può essere una donna, non so se capo dicastero, ma… Per esempio per i migranti: al dicastero per i migranti una donna potrebbe andare. E quando c’è necessità – adesso che i migranti entrano in un dicastero – della giurisdizione, sarà il Prefetto a dare questo permesso. Ma nell’ordinario può andare, nell’esecuzione del processo decisionale. Per me è molto importante l’elaborazione delle decisioni: non soltanto l’esecuzione, ma anche l’elaborazione, e cioè che le donne, sia consacrate sia laiche, entrino nella riflessione del processo e nella discussione. Perché la donna guarda la vita con occhi propri e noi uomini non possiamo guardarla così. E’ il modo di vedere un problema, di vedere qualsiasi cosa, in una donna è diverso rispetto a quello che è per l’uomo. Devono essere complementari, e nelle consultazioni è importante che ci siano le donne. Io ho avuto l’esperienza a Buenos Aires di un problema: vedendolo con il Consiglio presbiterale – quindi tutti uomini – era ben trattato; poi, il vederlo con un gruppo di donne religiose e laiche ha arricchito tanto, tanto, e favorito la decisione con una visione complementare. E’ necessario, è necessario questo! E penso che dobbiamo andare avanti, su questo poi il processo decisionale vedrà. C’è poi il problema della predicazione nella Celebrazione Eucaristica. Non c’è alcun problema che una donna – una religiosa o una laica – faccia la predica in un Liturgia della Parola. Non c’è problema. Ma nella Celebrazione Eucaristica c’è un problema liturgico-dogmatico, perché la celebrazione è una – la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, è un’unità – e Colui che la presiede è Gesù Cristo. Il sacerdote o il vescovo che presiede lo fa nella persona di Gesù Cisto. E’ una realtà teologico-liturgica. In quella situazione, non essendoci l’ordinazione delle donne, non possono presiedere. Ma si può studiare di più e spiegare di più questo che molto velocemente e un po’ semplicemente ho detto adesso. Invece nella leadership non c’è problema: in quello dobbiamo andare avanti, con prudenza, ma cercando le soluzioni… Ci sono due tentazioni qui, dalle quali dobbiamo guardarci. La prima è il femminismo: il ruolo della donna nella Chiesa non è femminismo, è diritto! E’ un diritto di battezzata con i carismi e i doni che lo Spirito ha dato. Non bisogna cadere nel femminismo, perché questo ridurrebbe l’importanza di una donna. Io non vedo, in questo momento, un grande pericolo riguardo a questo tra le religiose. Non lo vedo. Forse una volta, ma non in genere non c’è. L’altro pericolo, che è una tentazione molto forte e ne ho parlato parecchie volte, è il clericalismo. E questo è molto forte. Pensiamo che oggi più del 60 per cento delle parrocchie – delle diocesi non so, ma solo un po’ meno – non hanno il consiglio per gli affari economici e il consiglio pastorale. Questo cosa vuol dire? Che quella parrocchia e quella diocesi è guidata con uno spirito clericale, soltanto dal prete, che non attua quella sinodalità parrocchiale, quella sinodalità diocesana, che non è una novità di questo Papa. No! E’ nel Diritto Canonico, è un obbligo che ha il parroco di avere il consiglio dei laici, per e con laici, laiche e religiose per la pastorale e per gli affari economici. E questo non lo fanno. E questo è il pericolo del clericalismo oggi nella Chiesa. Dobbiamo andare avanti e togliere questo pericolo, perché il sacerdote è un servitore della comunità, il vescovo è un servitore della comunità, ma non è il capo di una ditta. No! Questo è importante. In America Latina, per esempio, il clericalismo è molto forte, molto marcato. I laici non sanno che cosa fare, se non domandano al prete… E’ molto forte. E per questo la consapevolezza del ruolo dei laici in America Latina è molto in ritardo. Si è salvato un po’ di questo solo nella pietà popolare: perché il protagonista è il popolo e il popolo ha fatto le cose come venivano; e ai preti quell’aspetto non interessava tanto, e qualcuno non vedeva di buon occhio questo fenomeno della pietà popolare. Ma il clericalismo è un atteggiamento negativo. Ed è complice, perché si fa in due, come il Tango che si balla in due… Cioè: il sacerdote che vuole clericalizzare il laico, la laica, il religioso e la religiosa, il laico che chiede per favore di essere clericalizzato, perché è più comodo. E’ curioso questo. Io, a Buenos Aires, ho avuto questa esperienza tre o quattro volte: un parroco bravo, che viene e mi dice “Sa, io ho un laico  bravissimo in parrocchia: fa questo, fa questo, sa organizzare, si dà da fare, è davvero un uomo di valore…Lo facciamo diacono?”. Cioè: lo “clericalizziamo?”. “No! Lascia che rimanga laico. Non farlo diacono”. Questo è importante. A voi succede questo, che il clericalismo tante volte vi frena nello sviluppo lecito della cosa. Io chiederò – e forse alla Presidente lo farò arrivare – alla Congregazione per il Culto che spieghi bene, in modo approfondito, quello che ho detto un po’ leggermente sulla predicazione nella Celebrazione Eucaristica. Perché non ho la teologia e la chiarezza sufficiente per spiegarlo adesso. Ma bisogna distinguere bene: una cosa è la predicazione in una Liturgia della Parola, e questo si può fare; altra cosa è la Celebrazione eucaristica, qui c’è un altro mistero. E’ il Mistero di Cristo presente e il sacerdote o il vescovo che celebrano in persona Christi. Per la leadership è chiaro… Sì credo che questa possa essere la mia risposta in generale alla prima domanda. Vediamo la seconda.

Seconda domanda Il ruolo delle donne consacrate nella Chiesa Le donne consacrate lavorano già tanto con i poveri e con gli emarginati, insegnano la catechesi, accompagnano i malati e i moribondi, distribuiscono la comunione, in molti Paesi guidano le preghiere comuni in assenza di sacerdoti e in quelle circostanze pronunciano l’omelia. Nella Chiesa c’è l’ufficio del diaconato permanente, ma è aperto solo agli uomini, sposati e non. Cosa impedisce alla Chiesa di includere le donne tra i diaconi permanenti, proprio come è successo nella Chiesa primitiva? Perché non costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione? Ci può fare qualche esempio di dove Lei vede la possibilità di un migliore inserimento delle donne e delle donne consacrate nella vita della Chiesa?

Papa Francesco Questa domanda va nel senso del “fare”: le donne consacrate lavorano già tanto con i poveri, fanno tante cose… nel “fare”. E tocca il problema del diaconato permanente. Qualcuno potrà dire che le “diaconesse permanenti” nella vita della Chiesa sono le suocere [ride, ridono]. In effetti questo c’è nell’antichità: c’era un inizio… Io ricordo che era un tema che mi interessava abbastanza quando venivo a Roma per le riunioni, e alloggiavo alla Domus Paolo VI; lì c’era un teologo siriano, bravo, che ha fatto l’edizione critica e la traduzione degli Inni di Efrem il Siro. E un giorno gli ho domandato su questo, e lui mi ha spiegato che nei primi tempi della Chiesa c’erano alcune “diaconesse”. Ma che cosa sono queste diaconesse? Avevano l’ordinazione o no? Ne parla il Concilio di Calcedonia (451), ma è un po’ oscuro. Qual era il ruolo delle diaconesse in quei tempi? Sembra – mi diceva quell’uomo, che è morto, era un bravo professore, saggio, erudito – sembra che il ruolo delle diaconesse fosse per aiutare nel battesimo delle donne, l’immersione, le battezzavano loro, per il decoro, anche per fare le unzioni sul corpo delle donne, nel battesimo. E anche una cosa curiosa: quando c’era un giudizio matrimoniale perché il marito picchiava la moglie e questa andava dal vescovo a lamentarsi, le diaconesse erano le incaricate di vedere i lividi lasciati sul corpo della donna dalle percosse del marito e informare il vescovo. Questo, ricordo. Ci sono alcune pubblicazioni sul diaconato nella Chiesa, ma non è chiaro come fosse stato. Credo che chiederò alla Congregazione per la Dottrina della Fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema, perché io vi ho risposto soltanto in base a quello che avevo sentito da questo sacerdote che era un ricercatore erudito e valido, sul diaconato permanente. E inoltre vorrei costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione: credo che farà bene alla Chiesa chiarire questo punto; sono d’accordo, e parlerò per fare una cosa di questo genere. Poi dite: “Siamo d’accordo con lei, Santo Padre, che ha più volte riportato la necessità di un ruolo più incisivo delle donne nelle posizioni decisionali nella Chiesa”. Questo è chiaro. “Ci può fare qualche esempio di dove Lei vede la possibilità di un migliore inserimento delle donne e delle donne  consacrate nella vita della Chiesa?”. Dirò una cosa che viene dopo, perché ho visto che c’è una domanda generale. Nelle consultazioni della Congregazione per i religiosi, nelle assemblee, le consacrate devono andare: questo è sicuro. Nelle consultazioni sui tanti problemi che vengono presentati, le consacrate devono andare. Un’altra cosa: un migliore inserimento. Al momento non mi vengono in mente cose concrete, ma sempre quello che ho detto prima: cercare il giudizio della donna consacrata, perché la donna vede le cose con una originalità diversa da quella degli uomini, e questo arricchisce: sia nella consultazione, sia nella decisione, sia nella concretezza. Questi lavori che voi fate con i poveri, gli emarginati, insegnare la catechesi, accompagnare i malati e i moribondi, sono lavori molti “materni”, dove la maternità della Chiesa si può esprimere di più. Ma ci sono uomini che fanno lo stesso, e bene: consacrati, ordini ospedalieri… E questo è importante. Dunque, sul diaconato, sì, accetto e mi sembra utile una commissione che chiarisca bene questo, soprattutto riguardo ai primi tempi della Chiesa. Riguardo a un migliore inserimento, ripeto quello che ho detto prima. Se c’è qualcosa da concretizzare, domandatelo adesso: su questo che ho detto, c’è qualche domanda in più, che mi aiuti a pensare? Avanti…

Terza domanda Il ruolo dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali Che ruolo potrebbe avere l’Unione Internazionale delle Superiore Generali, in modo che possa avere una parola nel pensiero della Chiesa, una parola che sia ascoltata, dal momento che porta con sé la voce di duemila istituti di religiose? Come è possibile che molto spesso veniamo dimenticate e non rese partecipi, per esempio dell’assemblea generale della Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, lì dove si parla della vita consacrata? Può la Chiesa permettersi di continuare a parlare di noi, invece di parlare con noi?

Papa Francesco Suor Teresina abbia un po’ di pazienza, perché mi è venuto in mente quello che era sfuggito dell’altra domanda, su “che cosa può fare la vita consacrata femminile?”. E’ un criterio che voi dovete rivedere, che anche la Chiesa deve rivedere. Il vostro lavoro, il mio e quello di tutti noi, è di servizio. Ma io, tante volte, trovo donne consacrate che fanno un lavoro di servitù e non di servizio. E’ un po’ difficile da spiegare, perché non vorrei che si pensasse a casi concreti, che forse sarebbe un cattivo pensiero, perché nessuno conosce bene le circostanze. Ma pensiamo a un parroco, un parroco che per sicurezza immaginiamo: “No, no, la mia canonica è in mano a due suore” – “E sono loro che gestiscono?” – “Sì, sì!” – “E cosa fanno di apostolato, catechesi?” – “No, no, soltanto quello!”. No! Questo è servitù! Mi dica, signor parroco, se nella sua città non ci sono donne brave, che hanno bisogno di lavoro. Ne prenda una, due, che facciano quel servizio. Queste due suore, che vadano nelle scuole, nei quartieri, con gli ammalati, con i poveri. Questo è il criterio: lavoro di servizio e non di servitù! E quando, a voi Superiore, chiedono una cosa che è più di servitù che di servizio, siate coraggiose nel dire “no”. Questo è un criterio che aiuta parecchio, perché quando si vuole che una consacrata faccia un lavoro di servitù, si svaluta la vita e la dignità di quella donna. La sua vocazione è il servizio: servizio alla Chiesa, ovunque sia. Ma non servitù! Ecco, adesso [rispondo a] Teresina: “Qual è, secondo lei, il posto della vita religiosa apostolica femminile all’interno della Chiesa? Che cosa mancherebbe alla Chiesa se non ci fossero più le religiose?”. Mancherebbe Maria il giorno di Pentecoste! Non c’è Chiesa senza Maria! Non c’è Pentecoste senza Maria! Ma Maria era lì, non parlava forse… Questo l’ho detto, ma mi piace ripeterlo. La donna consacrata è una icona della Chiesa, è un’icona di Maria. Il prete, il sacerdote, non è icona della Chiesa; non è icona di Maria: è icona degli apostoli, dei discepoli che sono inviati a predicare. Ma non della Chiesa e di Maria. Quando dico questo voglio farvi riflettere sul fatto che “la” Chiesa è femminile; la Chiesa è donna: non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa. Ma è una donna sposata con Gesù Cristo, ha il suo Sposo, che è Gesù Cristo. E quando un vescovo è scelto per una diocesi, il vescovo – in nome di Cristo – sposa quella Chiesa particolare. La Chiesa è donna! E la consacrazione di una donna la fa icona proprio della Chiesa e icona della Madonna. E questo noi uomini non possiamo farlo. Questo vi aiuterà ad approfondire, da questa radice teologica, un ruolo grande nella Chiesa. E questo vorrei che non sfuggisse. Mi trovo totalmente d’accordo [sulla conclusione della terza domanda]. La Chiesa: la Chiesa siete voi, siamo tutti. La gerarchia – diciamo – della Chiesa deve parlare di voi, ma prima e nel momento deve parlare con voi! Questo è sicuro. Nell’Assemblea della CIVCSVA voi dovete essere presenti. Sì, sì! Io questo lo dirò al Prefetto: nell’Assemblea voi dovete essere presenti! E’ chiaro, perché parlare di un assente non è neanche evangelico: deve poter sentire, ascoltare che cosa si pensa, e poi facciamo insieme. Sono d’accordo. Io non immaginavo tanto distacco, davvero. E grazie di averlo dirlo così coraggiosamente e con quel sorriso. Mi permetto una battuta. Lei lo ha fatto con quel sorriso, che in Piemonte si dice il sorriso della mugna quacia [con una faccia ingenua]. Brava! Sì, voi avete ragione in questo. Credo che sia facile riformare, io ne parlerò con il Prefetto. “Ma questa Assemblea generale non parlerà delle suore, parlerà di un’altra cosa…” – “E’ necessario sentire le suore perché hanno un’altra visione della cosa”. E’ quello che avevo detto prima: è importante che siate sempre inserite… Vi ringrazio della domanda. Qualche chiarimento riguardo a questo? Qualcosa di più? E’ chiaro? Ricordate bene questo: cosa mancherebbe alla Chiesa se le religiose non esistessero? Mancherebbe Maria nel giorno di Pentecoste. La religiosa è icona della Chiesa e di Maria; e la Chiesa è femminile, sposata da Gesù Cristo.

Quarta domanda Gli ostacoli che incontriamo come donne consacrate all’interno della Chiesa. Carissimo Santo Padre, molti istituti stanno affrontando la sfida di portare novità nella forma di vita e nelle strutture rivedendo le Costituzioni. Questo si sta rivelando difficile, perché ci ritroviamo bloccate dal Diritto Canonico. Lei prevede cambiamenti nel Diritto Canonico, in modo da facilitare questa novità? Inoltre i giovani oggi hanno difficoltà a pensare ad un impegno permanente, sia nel matrimonio che nella vita religiosa. Potremmo essere aperte a impegni temporanei? E un altro aspetto: svolgendo il nostro ministero in solidarietà con i poveri e gli emarginati, veniamo spesso erroneamente considerate come attiviste sociali o come se prendessimo posizioni politiche. Alcune autorità ecclesiali vorrebbero che fossimo più mistiche e meno apostoliche. Quale valore viene dato alla vita consacrata apostolica e in particolare alle donne, da alcune parti della Chiesa gerarchica?

Papa Francesco Primo: i cambiamenti che si devono fare per assumere le nuove sfide: Lei ha parlato di novità, novità nel senso positivo, se ho capito bene, cose nuove che vengono… E la Chiesa è maestra in questo, perché ha dovuto cambiare tanto, tanto, tanto nella storia. Ma in ogni cambiamento ci vuole il discernimento, e non si può fare discernimento senza preghiera. Come si fa il discernimento? La preghiera, il dialogo, poi il discernimento in comune. Bisogna chiedere il dono del discernimento, di saper discernere. Per esempio, un imprenditore deve fare cambiamenti nella sua ditta: lui valuta con concretezza, e quello che la sua coscienza gli dice, lo fa. Nella nostra vita, c’entra un altro personaggio: lo Spirito Santo. E per fare un cambiamento, dobbiamo valutare tutte le circostanze concrete, questo è vero, ma per entrare in un processo di discernimento con lo Spirito Santo ci vogliono preghiera,  dialogo e discernimento comune. Credo che su questo punto noi non siamo ben formati – quando dico “noi” parlo anche dei sacerdoti – nel discernimento delle situazioni, e dobbiamo cercare di avere esperienze e anche cercare qualche persona che ci spieghi bene come si fa il discernimento: un buon padre spirituale che conosca bene queste cose e ci spieghi, che non è un semplice “pro e contro”, fare la somma, e avanti. No, è qualcosa di più. Ogni cambiamento che si deve fare, richiede di entrare in questo processo di discernimento. E questo vi darà più libertà, più libertà! Il Diritto Canonico: ma non c’è nessun problema. Il Diritto Canonico nel secolo scorso è stato cambiato – se non sbaglio – due volte: nel 1917 e poi sotto san Giovanni Paolo II. Piccoli cambiamenti si possono fare, si fanno. Questi invece sono stati due cambiamenti di tutto il Codice. Il Codice è un aiuto disciplinare, un aiuto per la salvezza delle anime, per tutto questo: è l’aiuto giuridico della Chiesa per i processi, tante cose, ma che nel secolo scorso due volte, è stato totalmente cambiato, rifatto. E così si possono cambiare delle parti. Due mesi fa è arrivata una richiesta di cambiare un canone, non ricordo bene… Ho fatto fare lo studio e il Segretario di Stato ha fatto le consultazioni e tutti erano d’accordo che sì, questo si doveva cambiare per il maggior bene, ed è cambiato. Il Codice è uno strumento, questo è molto importante. Ma insisto: mai fare un cambiamento senza fare un processo di discernimento, personale e comunitario. E questo vi darà libertà, perché mettete lì, nel cambiamento, lo Spirito Santo. E’ questo che ha fatto san Paolo, san Pietro stesso, quando ha sentito che il Signore lo spingeva a battezzare i pagani. Quando noi leggiamo il libro degli Atti degli Apostoli, ci meravigliamo di tanto cambiamento, tanto cambiamento… E’ lo Spirito! Interessante, questo: nel libro degli Atti degli Apostoli, i protagonisti non sono gli apostoli, è lo Spirito. “Lo Spirito costrinse a fare quello”; “lo Spirito disse a Filippo: vai là e là, trova il ministro dell’economia e battezzalo”; “Lo Spirito fa”, “lo Spirito dice: no, qui non venite”… E’ lo Spirito. E’ lo Spirito che ha dato il coraggio agli apostoli per fare questo cambiamento rivoluzionario di battezzare i pagani senza fare la strada della catechesi ebraica o delle prassi ebraiche. E’ interessante: nei primi capitoli c’è la Lettera che gli apostoli, dopo il Concilio di Gerusalemme, inviano ai pagani convertiti. Raccontano tutto quello che hanno fatto: “Lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso questo”. Questo è un esempio di discernimento che hanno fatto. Ogni cambiamento, fatelo così, con lo Spirito Santo. Cioè: discernimento, preghiera e anche valutazione concreta delle situazioni. E per il Codice non c’è problema, questo è uno strumento. Riguardo all’impegno permanente dei giovani. Noi viviamo in una “cultura del provvisorio”. Mi raccontava un vescovo, tempo fa che era andato da lui un giovane universitario, che aveva finito l’università, 23/24 anni, e gli aveva detto: “Io vorrei diventare sacerdote, ma solo per dieci anni”. E’ la cultura del provvisorio. Nei casi matrimoniali è cosi. “Io ti sposo finché dura l’amore e poi ciao”. Ma l’amore inteso in senso edonistico, nel senso di questa cultura di oggi. Ovviamente questi matrimoni sono nulli, non sono validi. Non hanno coscienza della perpetuità di un impegno. Nei matrimoni è così. Nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia leggete la problematica, è nei primi capitoli, e leggete come preparare il matrimonio. Mi diceva una persona: “Io questo non lo capisco: per diventare prete dovete studiare, prepararvi per otto anni, più o meno. E poi, se la cosa non va, o se ti innamori di una bella ragazza, la Chiesa ti permette: vai, sposati, incomincia un’altra vita. Per sposarsi – che è per tutta la vita, che è “per” la vita – la preparazione in tante diocesi sono tre, quattro conferenze… Ma questo non va! Come può un parroco firmare che questi sono preparati al matrimonio, con questa cultura del provvisorio, con quattro spiegazioni soltanto? E’ un problema molto serio. Nella vita consacrata, a me sempre ha colpito – positivamente – l’intuizione di san Vincenzo de Paoli: lui ha visto che le Suore della Carità dovevano fare un lavoro così forte, così “pericoloso”, proprio in frontiera, che ogni anno devono rinnovare i voti. Soltanto per un anno. Ma lo aveva fatto come carisma, non come cultura del provvisorio: per dare libertà. Io credo che nella vita consacrata i voti temporanei facilitino questo. E, non so, voi vedete, ma io sarei piuttosto favorevole forse di prolungare un po’ i voti temporanei, per questa cultura del provvisorio che hanno i giovani oggi: è… prolungare il fidanzamento prima di fare il matrimonio! Questo è importante [Ora il Papa risponde a una parte della domanda che non è stata letta ma era scritta] Le richieste di soldi nelle nostre Chiese locali. Il problema dei soldi è un problema molto importante, sia nella vita consacrata, sia nella Chiesa diocesana. Non dobbiamo mai dimenticare che il diavolo entra “per le tasche”: sia per le tasche del vescovo, sia per le tasche della Congregazione. Questo tocca il problema della povertà, ne parlerò dopo. Ma l’avidità di denaro è il primo scalino per la corruzione di una parrocchia, di una diocesi, di una Congregazione di vita consacrata, è il primo scalino. Credo che fosse a questo proposito: il pagamento per i sacramenti. Guardate, se qualcuno vi chiede questo, denunciate il fatto. La salvezza è gratuita. Dio ci ha inviato gratuitamente; la salvezza è come uno “spreco di gratuità”. Non c’è salvezza a pagamento, non ci sono sacramenti a pagamento. E’ chiaro questo? Io conosco, ho visto nella mia vita corruzione in questo. Ricordo un caso, appena nominato vescovo, avevo la zona più povera di Buenos Aires: è divisa in quattro vicariati. Lì c’erano tanti migranti dei Paesi americani, e succedeva che quando venivano a sposarsi i parroci dicevano: “Questa gente non ha il certificato di battesimo”. E quando lo richiedevano nel loro paese dicevano loro: “Sì, ma manda prima 100 dollari – ricordo un caso – e poi te lo invio”. Ho parlato con il cardinale, il cardinale ha parlato con il vescovo del posto… Ma nel frattempo la gente poteva sposarsi senza il certificato di battesimo, con il giuramento dei genitori o dei padrini. E questo è il pagamento, non solo del sacramento ma dei certificati. Ricordo una volta a Buenos Aires che è andato un giovane, che doveva sposarsi, alla parrocchia per chiedere il nulla osta per sposarsi in un’altra: è un mezzo semplice. Gli ha detto la segretaria: “Sì, passi domani, venga domani che ci sarà, e questo costa tanto”: una bella somma. Ma è un servizio: è soltanto constatare i dati e riempire. E lui – questo è un avvocato, giovane, bravo, molto fervente, molto buon cattolico – è venuto da me: “Adesso cosa faccio?” – “Vai domani e dille che hai inviato l’assegno all’arcivescovo, e che l’arcivescovo le darà l’assegno”. Il commercio dei soldi. Ma qui tocchiamo un problema serio, che è il problema della povertà. Io vi dico una cosa: quando un istituto religioso – e questo vale anche per altre situazioni –, ma quando un istituto religioso si sente morire, sente che non ha capacità di attirare nuovi elementi, sente che forse è passato il tempo per il quale il Signore aveva scelto quella Congregazione, la tentazione è l’avidità. Perché? Perché pensano: “Almeno abbiamo i soldi per la nostra vecchiaia”. Questo è grave. E qual è la soluzione che dà la Chiesa? L’unione di vari istituti con carismi che si assomigliano, e andare avanti. Ma mai, mai il denaro è una soluzione per i problemi spirituali. E’ un aiuto necessario, ma tanto quanto. Sant’Ignazio diceva, sulla povertà, che è “madre” e “muro” della vita religiosa. Ci fa crescere nella vita religiosa come madre, e la custodisce. E si incomincia la decadenza quando manca la povertà. Ricordo, nell’altra diocesi, quando un collegio di suore molto importante doveva rifare la casa delle suore perché era vecchia, si doveva rifare; e hanno fatto un bel lavoro. Hanno fatto un bel lavoro. Ma in quei tempi – sto parlando dell’anno ’93, ’94 più o meno – dicevano: “Facciamo tutte le comodità, la stanza con il bagno privato, e tutto, e anche il televisore…”. In quel collegio, che era tanto importante, dalle 2 alle 4 del pomeriggio tu non trovavi una suora in collegio: erano tutte in stanza a guardare la telenovela! Perché è mancanza di povertà, e questo ti porta alla vita comoda, alle fantasie… E’ un esempio, forse è l’unico nel mondo, ma per capire il pericolo della troppa comodità, della mancanza di povertà o di una certa austerità.[Altra parte della domanda non letta ma scritta]

“Le religiose non ricevono uno stipendio per i servizi che svolgono, come lo ricevono i preti. Come possiamo dimostrare un volto attraente della nostra sussistenza? Come possiamo trovare le risorse finanziare necessarie per compiere la nostra missione?”.

Papa Francesco Vi dirò due cose. Prima: vedere come è il carisma, l’interno del vostro carisma – ognuno ha il proprio – e qual è il posto della povertà, perché ci sono congregazioni che esigono una vita di povertà molto, molto forte; altre, non tanto, e tutte e due approvate dalla Chiesa. Cercare la povertà secondo il carisma. Poi: i risparmi. E’ prudenza avere un risparmio; è prudenza avere una buona amministrazione, forse con qualche investimento, quello è prudente: per le case di formazione, per portare avanti le opere povere, portare avanti scuole per i poveri, portare avanti i lavori apostolici… Una fondazione della propria congregazione: questo lo si deve fare. E come la ricchezza può far male e corrompere la vocazione, la miseria pure. Se la povertà diventa miseria, anche questo fa male. Lì si vede la prudenza spirituale della comunità nel discernimento comune: l’economa informa, tutti parlano, sì è troppo, non è troppo… Quella prudenza materna. Ma per favore, non lasciatevi ingannare dagli amici della congregazione, che poi vi “spenneranno” e vi toglieranno tutto. Ho visto tante case, o mi hanno raccontato altri, di suore che hanno perduto tutto perché si sono fidati di quel tale… “molto amico della congregazione”! Ci sono tanti furbi, tanti furbi. La prudenza è non consultare mai una sola persona: quando avete bisogno, consultare varie persone, diverse. L’amministrazione dei beni è una responsabilità molto grande, molto grande, nella vita consacrata. Se non avete il necessario per vivere, ditelo al vescovo. Dire a Dio: “Dacci oggi il nostro pane”, quello vero. Ma parlare col vescovo, con la Superiora generale, con la Congregazione per i religiosi. Per il necessario, perché la vita religiosa è un cammino di povertà, ma non è un suicidio! E questa è la sana prudenza. E’ chiaro questo? E poi, dove ci sono conflitti per quello che le Chiese locali vi chiedono, bisogna pregare, discernere e avere il coraggio, quando si deve, di dire “no”; e avere la generosità, quando si deve, di dire “sì”. Ma voi vedete quanto è necessario il discernimento in ogni caso! Domanda (ripresa) “Mentre svolgiamo il nostro ministero, rimaniamo solidali con i poveri e gli emarginati, veniamo spesso erroneamente considerate come attiviste sociali o come se prendessimo posizioni politiche. Alcune autorità ecclesiali guardano negativamente al nostro ministero, sottolineando che dovremmo essere più concentrate su una forma di vita mistica. In queste circostanze, come possiamo vivere la nostra vocazione profetica…”. Risposta (continua) Sì. Tutte le religiose, tutte le consacrate devono vivere misticamente, perché il vostro è uno sposalizio; la vostra è una vocazione di maternità, è una vocazione di essere al posto della Madre Chiesa e della Madre Maria. Ma quelli che vi dicono questo, pensano che essere mistico è essere una mummia, sempre così pregando… No, no. Si deve pregare e lavorare secondo il proprio carisma; e quando il carisma ti porta ad andare avanti con i rifugiati, con i poveri tu devi farlo, e ti diranno “comunista”: è il meno che ti diranno. Ma devi farlo. Perché il carisma ti porta a questo. In Argentina, ricordo una suora: è stata provinciale della sua congregazione. Una brava donna, e lavora ancora… ha quasi la mia età, sì. E lavora contro i trafficanti di giovani, di persone. Io ricordo, nel governo militare in Argentina, volevano mandarla in carcere, facevano pressione sull’arcivescovo, facevano pressione sulla superiora provinciale, prima che lei stessa diventasse provinciale, “perché questa donna è comunista”. E questa donna ha salvato tante ragazze, tante ragazze! E sì, è la croce. Di Gesù che cosa hanno detto? Che era Belzebù, che aveva il potere di Belzebù. La calunnia, siate preparate. Se fate il bene, con preghiera, davanti a Dio, assumendo tutte le conseguenze del vostro carisma e andate avanti, preparatevi per la diffamazione e la calunnia, perché il Signore ha scelto questa via per Sé! E noi, vescovi, dobbiamo custodire queste donne che sono icona della Chiesa, quando fanno cose difficili e sono calunniate, e sono perseguitate. Essere perseguitati è l’ultima delle Beatitudini. Il Signore ci ha detto: “Beati voi quando sarete perseguitati, insultati” e tutte queste cose. Ma qui il pericolo può essere: “Io faccio la mia” – no, no: tu senti questo, ti perseguitano: parla. Con la tua comunità, con la tua superiora, parla con tutti, cerca consiglio, discerni: un’altra volta la parola. E questa religiosa della quale parlavo ora, un giorno l’ho trovata che piangeva, e diceva: “Guarda la lettera che ho ricevuto da Roma – non dirò da dove –: cosa devo fare?” – “Tu sei figlia della Chiesa?” – “Sì!” – “Tu vuoi obbedire alla Chiesa?” – “Sì!” – “Rispondi che tu sarai obbediente alla Chiesa, e poi va’ dalla tua superiora, va’ dalla tua comunità, va’ dal tuo vescovo – che ero io – e la Chiesa dirà cosa devi fare. Ma non una lettera che viene da 12.000 km”. Perché lì un amico dei nemici della suora aveva scritto, era stata calunniata. Coraggiose, ma con umiltà, discernimento, preghiera, dialogo. Conclusione “Una parola di incoraggiamento a noi leader, che sopportiamo il peso della giornata”. Papa Francesco Ma datevi anche un respiro! Il riposo, perché tante malattie vengono dalla mancanza di un sano riposo, riposo in famiglia… Questo è importante per sopportare il peso della giornata. Voi menzionate qui anche le suore anziane e ammalate. Ma queste suore sono la memoria dell’istituto, queste suore sono quelle che hanno seminato, che hanno lavorato, e adesso sono paralitiche o molto malate o lasciate da parte. Queste suore pregano per l’Istituto. Questo è molto importante, che si sentano coinvolte nella preghiera per l’Istituto. Queste suore hanno anche un’esperienza tanto grande: chi più, chi meno. Ascoltarle! Andare da loro: “Mi dica, sorella, cosa pensa lei di questo, di questo?”. Che si sentano consultate e dalla loro saggezza uscirà un buon consiglio. State sicure. Questo è quello che mi viene di dirvi. So che io sempre mi ripeto e dico le stesse cose, ma la vita è così… A me piace sentire le domande, perché mi fanno pensare e mi sento come il portiere, che sta lì, aspettando il pallone dove viene… Questo è buono e questo fate anche voi nel dialogo. Queste cose che ho promesso di fare, le farò. E pregate per me, io prego per voi. E andiamo avanti. La nostra vita è per il Signore, per la Chiesa e per la gente, che soffre tanto e ha bisogno della carezza del Padre, tramite voi! Grazie! Vi propongo una cosa: finiamo con la Madre. Ognuna di voi, nella propria lingua, preghi l’Ave Maria. Io la pregherà in spagnolo. Ave Maria… [Benedizione] E pregate per me, perché possa servire bene la Chiesa.

Una famiglia che prega assieme è più unita e vive meglio, lo dicono gli studi

Screen shot 2016-05-16 at 6.41.40 PMNumerose ricerche sono state dedicate al rapporto tra religione e psicologia e i risultati sono pressoché identici: la fede è una forza di benessere psico-fisico personale ed un collante sociale.

Avere una vita religiosa attiva migliora la salute mentale, aumenta il successo scolastico, rende più felici, migliora l’autocontrollo, diminuisce il tasso di dipendenze e aumenta la prospettiva di vita, riduce la delinquenza, l’ansia e la depressione. Sono alcuni dei risultati di numerosi studi scientifici elencati nel nostro apposito dossier.

Ma i benefici sono anche a livello sociale, un’alta frequenza ai sacramenti è legata ad una migliore relazione di coppia, sentimentale e sessuale, nonché alla diminuzione dei tassi di divorzio, ed influisce sulla fedeltà di coppia. Un sondaggio del 2015 ha rilevato che il 50% delle coppie non prega assieme al di fuori dei pasti in famiglia, l’altro 50% lo fa almeno una volta all’anno, di cui l’11% tutti i giorni e un terzo, nel complesso, almeno una volta al mese.

Clay Routledge, professore di Psicologia presso la North Dakota State University, ha elencato i risultati della letteratura scientifica che dimostrano come la preghiera migliora l’autocontrollo, aiuta ad essere pazienti, rende più indulgenti verso le persone che ci sono vicine e porta vantaggi per quanto riguarda la salute e gli effetti dello stress. «Vi è una crescente mole di prove», ha spiegato, «che indica che la preghiera, un comportamento spesso associato con la religione, può essere utile per gli individui e la società».

Ovviamente, l’indagine scientifica non entra nel campo teologico, nel rapporto tra la persona e Dio, nei motivi della preghiera e nell’eventuale risposta di Dio, ma si limita a valutare le conseguenze che è in grado di percepire tramite i suoi metodi di ricerca. Tuttavia, chiunque comprende facilmente che il tempo che le famiglie passano pregando assieme è tempo sottratto alla televisione e agli smartphone, impiegato invece in un rapporto profondo e di qualità. Uno studio ha infatti scoperto che i bambini, figli di genitori che pregano più di una volta al giorno, vivono un migliore rapporto con i loro genitori anche se non sono coinvolti nei momenti di preghiera. Un secondo studio ha trovato una correlazione positiva tra l’aumento di fiducia reciproca e il tempo che la coppia dedica alla preghiera.

Il medico e biologo francese Alexis Carrell, premio Nobel per la medicina nel 1912, scrisse nel 1941 un bel libro intitolato, per l’appunto, La preghiera, in cui mise in guardia dal non paragonare «la preghiera con la morfina. Poiché essa determina una specie di fioritura della personalità, solleva gli uomini al di sopra della statura mentale loro propria per eredità o per educazione. La preghiera fortifica nello stesso tempoil senso sacro e il senso morale. Gli ambienti nei quali si prega sono caratterizzati da una certa persistenza del senso del dovere e della responsabilità, da una minor gelosia e malvagità, da qualche bontà nei rapporti col prossimo. Quando la preghiera è abituale e veramente fervente, la sua influenza si fa chiarissima. Si direbbe che nella profondità della coscienza s’accenda una fiamma». Insomma, conclude il Nobel per la medicina, «tutto accade come se Dio ascoltasse l’uomo e gli rispondesse. Gli effetti della preghiera non sono un’illusione. Non bisogna ridurre il senso sacro all’angoscia dell’uomo davanti ai pericoli che lo circondano e davanti al mistero dell’universo. Né bisogna fare unicamente della preghiera una pozione calmante, un rimedio contro la nostra paura della sofferenza, della malattie della morte. Il senso sacro sembra essere un impulso proveniente dal più profondo della nostra natura, un’attività fondamentale, per mezzo della preghiera l’uomo va a Dio e Dio entra in lui»(A. Carrel, La Preghiera, Morcelliana 1986, pp. 28-44).

LEGGI ANCHE: La preghiera delle madri a Santa Marta per chiedere protezione spirituale

In altre due occasioni ci siamo occupati della preghiera, nella primarispondendo alla classica domanda: “Perché pregare se Dio conosce già i nostri pensieri?”, nella seconda, spiegando che la preghiera non serve per istruire Dio, ma semmai per disporre noi ad accogliere il Suo aiuto. Resta comunque insuperabile la riflessione di Benedetto XVI:«Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

Quando l’infedeltà si “insedia” nel matrimonio, c’è soluzione?

Screen shot 2016-05-16 at 6.31.51 PMRiporto un caso reale a cui ho fatto da consulente, una storia dolorosa. Il problema più grande dell’infedeltà è quando si “insedia” nel matrimonio e il marito o la moglie infedele non vuole davvero porre fine alla relazione che porta avanti.

Marito

Mia moglie ed io siamo sposati da 16 anni e abbiamo due figli adolescenti. Siamo stati più o meno felici, ma da cinque anni ho una relazione clandestina con una collega. Mia moglie lo ha scoperto e stiamo vivendo una crisi profonda.

La verità è che nell’altra relazione sperimento sentimenti diversi e un forte desiderio sessuale. Lei è più giovane di mia moglie, non ha figli ed è sempre ben sistemata. È anche capace di capirmi meglio di mia moglie.

Amo mia moglie e mi sento male. È vero. Non sono cinico, e lotto con me stesso, perché vorrei ricostruire il mio matrimonio e penso che lo voglia anche lei. È disposta a perdonarmi e a seguire alla lettera tutto quello che lei ci consiglierà come terapeuta per salvare il nostro matrimonio.

Ho una forte sensazione di perdita di quello che rappresentano il matrimonio e la famiglia, del modo in cui mi vedono i miei figli, davanti ai quali non so che spiegazioni dare. Mi sento anche in colpa per il dolore che sto provocando. Quando la mia infedeltà era clandestina credevo che non avrei provocato niente di tutto questo. Mi ero abituato a condurre una doppia vita e penso che non facevo male, perché rispettavo tutti i miei doveri familiari. Ora è cambiato tutto.

Dall’altro lato, devo ammettere che sono spezzato dentro, perché mi risulta difficile, quasi impossibile, rinunciare a tutto ciò che provo con la mia amante. Se mia moglie lo sapesse… Negli ultimi sei mesi me ne sono andato di casa sei volte tornando pochi giorni dopo, perché provo un’intensa nostalgia di stare con la mia amante, e questo mi fa pensare che non riuscirò a lasciarla; oltre a questo ho un impegno con lei, perché per causa mia ha lasciato il fidanzato, o almeno così dice.

Tutti i giorni mi dico che cambierò, che mi comporterò bene, ma… a cominciare da domani.

Moglie

Io e mio marito siamo andati da un esperto, io perché mi sono ammalata e mio marito per il fatto di fingere una demenza. Per via delle sue incongruenze, a mio marito è stato diagnosticato un disturbo bipolare e gli sono stati prescritti sali di litio; a me è stato diagnosticato un quadro depressivo con i rispettivi farmaci, ma questo è semplicemente assurdo, visto che l’origine dei nostri problemi, lo sappiamo bene, è la sua infedeltà, che ci ha spezzati dentro. È questa, e nessun’altra, la nostra malattia, non stiano a inventare.

Anche i miei figli ne risentono, perché il loro rendimento scolastico è diminuito e sono diventati molto conflittuali nei loro rapporti. Sappiamo bene che sono adolescenti, ma prima non erano così. Ci hanno chiamati da scuola e potrebbero essere espulsi. Hanno ricevuto assistenza psicologica ma non ha funzionato, e sono dei ragazzi davvero tristi.

Nel suo orientamento matrimoniale, però, l’approccio professionale è stato diverso, e quindi mi sono sforzata e so che può averci aiutato molto, perché concordo con lei su vari punti:

  • Entrambi, attraverso la diagnosi e la terapia corretta, avevamo la possibilità e la responsabilità di tornare al punto in cui poter capire come e quando il nostro amore si è ammalato in modo mortale.
  • Che nella nostra unione coniugale esistono disfunzioni che possiamo identificare, affrontare e risolvere.
    Che mio marito deve superare una sessualità disintegrata, per la quale si orienta all’infedeltà.
  • Che avremmo potuto risolvere la vera causa non solo partendo dalla comprensione del problema e dal perdono, ma anche recuperando il legame amoroso tra gli sposi e dandoci e accogliendoci a vicenda. Che anche se esiste una terapia, questa non supplisce alla nostra capacità di autorigenerarci gradualmente per tornare a unirci.

Il grave problema è che mio marito non ha voluto raddrizzare davvero la sua vita, e di fronte a questo non c’è terapia che serva. Sono arrivata alla fine del cammino, sono molto stanca, non voglio andare avanti, è finita.

Mio marito continua a vivere tra le contraddizioni, quando non cerca di fare l’offeso fa la vittima ed è arrivato a dirmi che non vuole comportarsi nel modo in cui si comporta, che è come se fosse stregato. Cerca di evadere le sue responsabilità offrendomi regali personali, uscendo con me e trattandomi molto bene. Dice che vuole sistemare la sua vita, di conservare la speranza, ma il suo è un volere senza volere, perché è ormai insediato nella sua infedeltà, e secondo me quello che cerca davvero è che io finisca per accettarlo così.

Ma io non lo accetterò mai, e non nutro più speranze.

Come posso sperare ancora? Perdo sempre più la fiducia in lui, e sono sconcertata, perché non so più cosa fare o dire perché reagisca di fronte a questo comportamento contraddittorio e cinico.

Le sue contraddizioni e l’andare e venire mi hanno danneggiato molto, perché la mia salute si è deteriorata. Non riesco più a vedermi come donna, sposa, madre… è come se tutta la mia vita fosse ormai ridotta a brandelli. Ho voluto lottare per il mio matrimonio, prima per amore nei suoi confronti, poi solo per conservare un padre ai miei figli, ma è stato inutile. Sono decisamente scoraggiata.

Quello che mio marito non riesce a comprendere è che a poco a poco ho perso la voglia di lottare, di arrivare a una soluzione. Non ne ho più la forza. Sono triste e senza speranze. Quello che desidero è allontanarmi da lui, perché tutto questo mi distrugge.

Epilogo. Divorzio e profondo danno a livello familiare.

La moglie. Dovrà superare una grande tristezza, un’enorme delusione nei confronti dei pilastri su cui aveva basato la sua vita, una profonda crisi di autostima e una grande disperazione nei confronti del futuro. Bisognerà affrontare problemi a livello economico e l’assenza della figura paterna nella vita quotidiana dei figli.

I figli. Soffrono per la disintegrazione della famiglia, e accanto a questo si verifica un grave deterioramento del loro referente principale a livello di identità, che influisce in modo definitivo sullo sviluppo della loro personalità.

Il marito. Ha iniziato a vivere con la sua amante ma il rapporto semplicemente non ha funzionato, come non funziona tutto ciò che si basa sull’egoismo più spersonalizzato. Ha cercato di tornare con la ex moglie ed è stato respinto categoricamente, aumentando il danno morale e psicologico. Vive da solo e vede i suoi figli in base a quanto stabilito in un accordo legale.

L’amante. Al di là del grado di colpevolezza o responsabilità, non conoscerà mai i danni che ha provocato a livello diretto o indiretto. Non li conoscerà perché le è impossibile misurare la profondità delle ferite inflitte, o perché per insensibilità non vuole o non le interessa accostarsi a questa verità. Anche se non lo ammette, ha provocato un grande danno morale anche a se stessa, e la conseguenza dell’ingiustizia commessa sarà molto difficile da sopportare, rimanendo sempre un aspetto oscuro.

L’infedeltà attenta direttamente contro il matrimonio e diventa un cancro che invade tutta la famiglia, spezzando la sua unità di vita e d’amore attraverso il danno spirituale, morale, psicologico e corporale.

L’infedeltà introduce la morte nei legami familiari.

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13 maggio, la preghiera per il Papa 35 anni dopo l’attentato

Tutto inizia esattamente 35 anni fa. La sera del 13 maggio del 1981, mentre Giovanni Paolo II è tra la vita e la morte al Policlinico Gemelli dopo l’attentato in Piazza San Pietro. Proprio li, su quella stessa piazza migliaia di persone sono raccolte in preghiera. Si recita il rosario, si prega Maria di Fatima.

Anno dopo anno l’appuntamento diventa immancabile, per ringraziare del miracolo, per pregare per il Papa. Dalla piccola parrocchia di Sant’Anna in Vaticano si snoda una piccola processione ogni 13 maggio sera che, recitando il rosario, arriva fino a sotto le finestre dell’appartamento pontificio.

Le finestre si aprono e si illuminano ogni volta. Il Papa fa capire così con discrezione il suo grazie. É un dialogo di preghiera, sommesso e delicato. Tra i fedeli che pregano c’è anche Angelo Gugel, il cameriere personale di Giovanni Paolo II, l’uomo che lo sostenne proprio quel 13 maggio dopo gli spari.

Passano gli anni e anche dopo la morte di San Giovanni Paolo la tradizione continua.

Non più con una processione ma con una solenne preghiera per la salute del Papa, Benedetto XVI e ora Papa Francesco, nella chiesetta di Sant’ Anna.

Anche quest’anno il 13 maggio alle 20.30 si pregherà “affinchè la Vergine Maria conservi nel Santo Padre Francesco l’efficenza fisica e quella fede viva, illuminata e coraggiosa con cui conferma i propri fratelli e promuove nel mondo intero i valori dell’ amore e della pace”.

A guidare la preghiera sarà il cardinale Angelo Comastri, Vicario del Papa per la Città del Vaticano.

Un invito per tutti nella piccola parrocchia vaticana curata dagli agostiniani proprio a fianco a Porta Sant’ Anna, su via di Porta Angelica.

L’incredibile versione del Padre Nostro in Swahili

Nel 2005 è stato lanciato il gioco Civilization IV. Specificatamente per questo gioco è stata composta una canzone, intitolata Baba Yetu.

Composta da Christopher Tin, la canzone è entrata nella storia nel 2011 in quanto prima opera realizzata per un videogioco a vincere un Grammy. Quello che sfugge a molti è che in realtà Baba Yeti è la preghiera del Padre Nostro cantata in lingua Swahili.

Di recente Alex Boyé – un figlio di nigeriani nato a Londra – ha caricato sul suo canale Youtube una incredibile versione della canzone. È molto commovente.

Clicca sull’immagine per vedere il video:

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Il Papa ai militari: siate costruttori di ponti e seminatori di pace

papa e i militariIn Piazza San Pietro erano presenti migliaia di soldati, circa 20 mila, giunti da tutto il mondo in occasione del Giubileo della Misericordia. Il Papa li ha salutati con gioia invitandoli a costruire la pace e la giustizia. Il servizio diSergio Centofanti:

Le bande musicali delle varie Forze armate e di Polizia sfilano in Via della Conciliazione per il Giubileo dei militari suonando i rispettivi inni. In Piazza San Pietro, donne e uomini dei diversi Corpi portano la loro testimonianza: l’aiuto a persone in difficoltà, il salvataggio di migranti in balia del mare, il trasporto urgente di neonati in elicottero al Bambino Gesù. Interventi per gli altri che spesso mettono a rischio anche la propria vita. C’è poi il grazie a Dio, commosso, di chi ha salvato e di chi è stato salvato. La vostra missione – ha detto Papa Francesco – è quella “di garantire un ambiente sicuro, affinché ogni cittadino possa vivere in pace e serenità”:

“Siate strumenti di riconciliazione, costruttori di ponti e seminatori di pace. Siete infatti chiamati non solo a prevenire, gestire, o porre fine ai conflitti, ma anche a contribuire alla costruzione di un ordine fondato sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà, secondo la definizione di pace di San Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris (nn.18 ss)”.

Sono tante le sfide di oggi – ha detto il Papa – ma nella prospettiva cristiana c’è la “certezza della vittoria dell’amore sull’odio, della pace sulla guerra”:

“L’affermazione della pace non è impresa facile, soprattutto a causa della guerra, che inaridisce i cuori e accresce violenza e odio. Vi esorto a non scoraggiarvi”.

Domenica mattina i militari partecipano alla Messa conclusiva del loro Giubileo presieduta dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella Basilica Vaticana e poi saranno in Piazza San Pietro per il Regina Caeli del Papa.

(Da Radio Vaticana)

Papa ai giovani di Pompei: abbiate il coraggio di fare il bene

papa e giovani“Coraggiosi nel fare il bene e nel vivere la vostra fede, ma soprattutto ad aiutare i vostri coetanei ad aprire la porta del loro cuore a Gesù”. È l’augurio che Papa Francesco rivolge ai giovani di Pompei e dei Comuni circostanti che oggi celebrano il Giubileo delle scuole, in coincidenza con la 21.ma Giornata diocesana per la pace.

Nel messaggio ai ragazzi, a firma del sostituto della segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, il Papa riferendosi con gratitudine ai disegni, alle poesie e alle riflessioni sulla pace inviategli dai giovani afferma che tutti questi componimenti dimostrano la comprensione del “vero senso” dell’Anno Santo della Misericordia, ovvero “diventare nel mondo dei testimoni e missionari dell’immensa benevolenza che Dio ha per tutti i suoi figli”. Francesco conclude con una preghiera alla Vergine del Rosario perché, dice, “apra i vostri cuori alla speranza e vi protegga sempre”.

(Da Radio Vaticana)

​Il Papa chiede più attenzione per le malattie rare – Accesso alle cure per tutti

SS Francesco - Aula Paolo VI - Partecipanti al Convegno Internazionale promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura - 29-04-2016  - (Copyright L'OSSERVATORE ROMANO - Servizio Fotografico - photo@ossrom.va)

SS Francesco – Aula Paolo VI – Partecipanti al Convegno Internazionale promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura – 29-04-2016
– (Copyright L’OSSERVATORE ROMANO – Servizio Fotografico – photo@ossrom.va)

Sensibilizzazione, ricerca e soprattutto accesso alle cure: è il triplice itinerario indicato venerdì mattina, 29 aprile, da Papa Francesco per affrontare il delicato e doloroso problema delle cosiddette malattie rare, «che riguarda milioni e milioni di persone in tutto il mondo». Occasione è stata l’udienza nell’Aula Paolo VI ai partecipanti a un convegno internazionale su queste patologie e sulla medicina rigenerativa, il terzo promosso dal Pontificio consiglio della cultura a partire dal 2011 con Benedetto XVI.

Dopo aver denunciato come ai pazienti affetti da tali malattie «molte volte non si presta sufficiente attenzione, perché non si intravede un consistente ritorno economico dagli investimenti», Francesco ha confidato di incontrare continuamente persone colpite dalla sofferenza. Da qui il triplice impegno indicato dal Papa. «Il primo — ha spiegato — è la “sensibilizzazione”». Infatti appare «di fondamentale importanza promuovere nella società la crescita del livello di empatia, affinché nessuno rimanga indifferente alle invocazioni di aiuto».

In proposito Francesco si è detto consapevole «che talvolta non è possibile trovare soluzioni rapide a patologie complesse», ma — ha fatto notare con forza — «sempre si può rispondere con sollecitudine a queste persone, che si sentono abbandonate e trascurate». Anche perché, ha aggiunto, «la sensibilità umana dovrebbe essere universale, indipendente dal credo religioso, dal ceto sociale o dal contesto culturale».

Il secondo aspetto richiamato è stato poi quello della ricerca. «Oggi più che mai — ha sottolineato il Papa — sentiamo questa urgenza educativa». In particolare «nell’ambito delle scienze della vita e delle scienze mediche» sono necessari percorsi interdisciplinari che riservino «spazio alla preparazione umana con un fondamentale riferimento all’etica» e «una costante attenzione alle questioni morali».

Infine, riguardo all’accesso alle cure, Francesco ha esortato a contrapporre «alla globalizzazione dell’indifferenza, la globalizzazione dell’empatia». Come? Rendendo «noto il problema delle malattie rare su scala mondiale», investendo «nella formazione più adeguata», incrementando «le risorse per la ricerca», promuovendo «l’adeguamento legislativo e il cambio del paradigma economico, affinché sia privilegiata la persona umana». Solo così, ha concluso, grazie anche «all’impegno coordinato, diventa possibile trovare le soluzioni alle sofferenze che affliggono i nostri fratelli ammalati, e assicurare loro l’accesso alle cure».

Il discorso del Papa 

Papa: anche oggi resistenze allo Spirito nella Chiesa, ma Lui le vince

papa spiritoAnche oggi nella Chiesa, come ieri, ci sono le resistenze alle sorprese dello Spirito di fronte alle nuove situazioni, ma Lui ci aiuta a vincerle e ad andare avanti, sicuri, sulla strada di Gesù: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Calorose discussioni nella Chiesa, ma il protagonista è lo Spirito Santo
Commentando il celebre brano degli Atti degli Apostoli sul cosiddetto “Concilio” di Gerusalemme, il Papa osserva che “il protagonista della Chiesa” è lo Spirito Santo. “E’ Lui che dal primo momento ha dato la forza agli apostoli di proclamare il Vangelo”, è “lo Spirito che fa tutto, lo Spirito che porta la Chiesa avanti”, anche “con i suoi problemi”, anche “quando scoppia la persecuzione” è Lui “che dà la forza ai credenti per rimanere nella fede”, anche nei momenti “di resistenze e di accanimento dei dottori della legge”. In questo caso, c’è una duplice resistenza all’azione dello Spirito: quella di chi credeva che “Gesù fosse venuto soltanto per il popolo eletto” e quella di chi voleva imporre la legge mosaica, compresa la circoncisione, ai pagani convertiti. Il Papa nota che allora “ci fu una grande confusione in tutto questo”:

“Lo Spirito metteva i cuori su una strada nuova: erano le sorprese dello Spirito. E gli apostoli si sono trovati in situazioni che mai avrebbero creduto, situazioni nuove. E come gestire queste nuove situazioni? Per questo il brano di oggi, il passo di oggi, incomincia così: ‘In quei giorni, poiché era sorta una grande discussione’, una calorosa discussione, perché discutevano su questo argomento. Loro, da una parte, avevano la forza dello Spirito – il protagonista – che spingeva ad andare avanti, avanti, avanti… Ma lo Spirito li portava a certe novità, certe cose che mai erano state fatte. Mai. Neppure le avevano immaginate. Che i pagani ricevessero lo Spirito Santo, per esempio”.

Chi ha paura di ascoltare non ha lo Spirito nel cuore
I discepoli “avevano la patata bollente nelle mani e non sapevano che fare”. Così, convocano una riunione a Gerusalemme dove ognuno può raccontare la propria esperienza, di come lo Spirito Santo scenda anche sui pagani:

“E alla fine si sono messi d’accordo. Ma prima c’è una cosa bella: ‘Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo, che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni, in mezzo a loro’. Ascoltare, non avere paura di ascoltare. Quando uno ha paura di ascoltare, non ha lo Spirito nel suo cuore. Ascoltare: ‘Tu che pensi e perché?’. Ascoltare con umiltà. E dopo avere ascoltato, hanno deciso di inviare alle comunità greche, cioè ai cristiani che sono venuti dal paganesimo, inviare alcuni discepoli per tranquillizzarli e dirgli: ‘Sta bene, andate così’”.

Novità mondane e novità dello Spirito
I pagani convertiti non sono obbligati alla circoncisione. E’ una decisione comunicata attraverso una lettera in cui “il protagonista è lo Spirito Santo”. Infatti, i discepoli affermano: “Lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso…”. Questa – afferma il Papa – è la strada della Chiesa “davanti alle novità, non le novità mondane, come sono le mode dei vestiti”, ma “le novità, le sorprese dello Spirito, perché lo Spirito sempre ci sorprende. E come risolve la Chiesa questo? Come affronta questi problemi, per risolverli? Con la riunione, l’ascolto, la discussione, la preghiera e la decisione finale”:

“Questa è la strada della Chiesa fino ad oggi. E quando lo Spirito ci sorprende con qualcosa che sembra nuova o che ‘mai si è fatto così’, ‘si deve fare così’, pensate al Vaticano II, alle resistenze che ha avuto il Concilio Vaticano II, e dico questo perché è il più vicino a noi. Quante resistenze: ‘Ma no…’. Anche oggi resistenze che continuano in una forma o in un’altra, e lo Spirito che va avanti. E la strada della Chiesa è questa: riunirsi, unirsi insieme, ascoltarsi, discutere, pregare e decidere. E questa è la cosiddetta sinodalità della Chiesa, nella quale si esprime la comunione della Chiesa. E chi fa la comunione? E’ lo Spirito! Un’altra volta il protagonista. Cosa ci chiede il Signore? Docilità allo Spirito. Cosa ci chiede il Signore? Non avere paura, quando vediamo che è lo Spirito che ci chiama”.

La Chiesa sin dall’inizio ha affrontato le sorprese dello Spirito
“Lo Spirito – rileva il Papa – delle volte ci ferma”, come ha fatto con San Paolo, per farci andare da un’altra parte, “non ci lascia soli”, “ci dà il coraggio, ci dà la pazienza, ci fa andare sicuri sulla strada di Gesù, ci aiuta a vincere le resistenze e ad essere forti nel martirio”. “Chiediamo al Signore – ha concluso – la grazia di capire come va avanti la Chiesa, di capire come dal primo momento ha affrontato le sorprese dello Spirito e, anche, per ognuno di noi la grazia della docilità allo Spirito, per andare sulla strada che il Signore Gesù vuole per ognuno di noi e per tutta la Chiesa”.

(Da Radio Vaticana)