2016-05-30 L’Osservatore Romano

ETHIOPIA. Omo Valley, 2014. Two boys sit outside a school.NN11430884.jpg

Le parole di Papa Francesco, fin dall’inizio del pontificato, hanno portato davanti ai nostri occhi la sofferenza del mondo, l’emarginazione, la povertà. Poveri, periferie, lacrime: parole desuete che sono tornate, con i suoi interventi, prepotentemente alla ribalta. Lo scrive Lucetta Scaraffia aggiungendo che insieme con l’appello alla misericordia: una misericordia attiva, che deve diventare capacità concreta di incidere sul mondo, di contrastare il male con il bene. L’elenco di sofferenze che vengono evocate ogni giorno non deve solo straziare i nostri cuori, ma diventare occasione per cambiare la nostra vita, per darle significato intervenendo in aiuto ai sofferenti.

Ma nel nostro mondo le parole non contano, neppure quelle del Papa. Siamo abituati a farci toccare il cuore solo attraverso le immagini, cioè i filmati e le fotografie. Solo vedendo il nostro cuore si commuove, solo dopo avere visto con i nostri occhi siamo capaci di fare qualcosa di buono. E non sempre le immagini della televisione e dei giornali restituiscono fedelmente ciò che accade: le ragioni di questo silenzio sono molte, in primo luogo la difficoltà di trovarsi proprio là, dove le peggiori sventure accadono. E non sempre i fotografi sanno cogliere in un volto, in una mano, in un gesto, la potenza del dramma. Lo sanno fare solo i grandi fotografi, gli artisti.

Molto importante, quindi, e opportuna è l’iniziativa «My Jubilee» — di ArtsFor in collaborazione con la fondazione Ente dello Spettacolo — di dare visibilità alle parole del Papa attraverso le immagini di grandi fotografi, collaboratori di una delle più grandi agenzie fotografiche del mondo, la Magnum. Non è un evento secondario infatti che per Francesco si sia mossa proprio questa agenzia, nata nel 1947 come cooperativa che riuniva i più grandi fotografi del momento (Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour). Ancora oggi è fra le più prestigiose e autorevoli del mondo, raccoglie fotografi indipendenti, con sedi a New York, Londra, Parigi e Tokyo.

Si apre così una collaborazione fra trenta fotografi di grande nome, forse anche lontani dalla religione e — proprio per il duro mestiere che fanno — disincantati, e il capo visibile della Chiesa. Si tratta di una novità importante, che fa capire quanto volino lontano le parole del Papa, quanto la misericordia da lui invocata per il giubileo possa toccare persone che magari non si sentono parte della Chiesa, tanto da renderle testimoni del suo messaggio. Così, a piccoli ma significativi passi, la rivoluzione della misericordia cammina: vedendo quei volti devastati, quei gesti disperati, ogni essere umano si sente interpellato nel profondo del suo cuore. E diventa così più difficile costruire muri, cacciare profughi (e dare il proprio voto a chi promette di farlo).

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