Il sacerdote che parlava a bassa voce e oggi è papa

Screenshot 2017-01-18 16.54.12Alcuni film che vogliono raccontare la vita di papa Francesco sintetizzano il suo passaggio per il Colegio Máximo di San Miguel come anni dedicati solo alla sopravvivenza nel conflitto che vedeva contrapporsi il Governo militare e i guerriglieri, ma non era questo che percepivano i bambini e gli adolescenti di San Miguel pensando a padre Bergoglio.

Alle Messe del sabato sera al Colegio Máximo arrivavano persone di varie zone – non perché non ci fossero altre parrocchie a San Miguel, visto che a non più di un chilometro c’è la cattedrale di San Miguel e poco più distanti le parrocchie di José C Paz, San Miguel, Muñiz o Bella Vista, ma erano anni di vive predicazioni e di grandi cori nella casa di formazione dei gesuiti.

Padre Moyano, il principale incaricato di celebrare quelle Messe, veniva occasionalmente sostituito da un altro sacerdote, tra i quali uno che faceva sì che i primi banchi della cappella del primo piano si riempissero rapidamente perché la gente potesse ascoltarlo, visto che padre Jorge Bergoglio parlava con un tono di voce molto basso.

María, all’epoca adolescente e oggi nonna, riferisce che le sue Messe non erano noiose, semplicemente parlava a bassa voce.

La linea di padre Bergoglio, come degli altri sacerdoti che celebravano la Messa nella cappella del Máximo in quegli anni convulsi, era quella di predicare l’amore per i nemici, per chi non la pensa come noi.

Questo messaggio risuona ancora oggi tra quelli che all’epoca non erano ancora adulti e ricordano quasi in modo letterale alcune frasi delle omelie.

Per aver predicato con intensità quel messaggio, ricordano da San Miguel, uno dei sacerdoti gesuiti dovette trasferirsi in Uruguay, alla frontiera con il Brasile.

In alcuni libri e film si evocano le discussioni tra i sacerdoti per il loro grado di coinvolgimento nel conflitto che viveva l’Argentina, ma per i vicini di San Miguel che abbiamo interpellato e che non erano parte attiva del conflitto erano innanzitutto sacerdoti, presbiteri vicini alle famiglie, con le quali mangiavano e pregavano, affettuosi con i bambini.

Per circa dieci anni, padre Bergoglio è stato uno dei principali celebranti delle Messe del Máximo e della parrocchia fondata dai gesuiti in una delle vie laterali sulle quali si affaccia l’immenso edificio della scuola. Era il sacerdote che parlava a bassa voce ma non annoiava pronunciando massime che si ricordano ancora oggi.

Quelli che all’epoca erano bambini e adolescenti lo ricordano come il sacerdote a cui non piaceva parlare in pubblico. In questi 40 anni è cambiato qualcosa. I bambini ormai sono genitori, gli adolescenti iniziano a diventare nonni e il sacerdote che parlava a bassa voce oggi è papa e può predicare senza arrossire davanti a centinaia di migliaia di persone.

UM School of Art

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

La lezione di Scorsese sul martirio cristiano

Screenshot 2017-01-18 16.53.53Silence” ha il pregio di non presentare solo una storia di Gesuiti, anche la prospettiva della spiritualità gesuita sulle cose, da un punto di vista estremamente sottile: la coscienza. La storia diventa interessante se vista da qui. In fondo, la situazione resta identica per tutto il film, la “persecuzione dei cattolici” nel Giappone feudale del 1639, per cui non c’è alcun reale progresso, perché tutto si gioca nella coscienza.
In questo modo, la storia avanza passo dopo passo per le decisioni dei due “padres” Garupe e Rodriguez che salpano per il Giappone, tuttavia ciascuno dei personaggi nella tormentata scena della persecuzione, nella propria coscienza è chiamato a scegliere Gesù Cristo in un clima tormentoso, domanda esattamente posta dal gesuita all’inizio, nel villaggio: “come credere in una situazione del genere?”. Ognuno deve trovare il modo, cosa che non significa una fede a modo proprio: la fede è quella cattolica e il Signore è l’unico Gesù Cristo, per cui ognuno deve trovare il modo di seguire Lui, anche “in una situazione del genere”.
Il contesto non favorisce una vita cristiana tranquilla, ed il film chiede se questa sia davvero desiderabile. La situazione di “persecuzione” graffia con l’obbligatorietà di una scelta. Ognuno sceglie. Scelga in base alla propria coscienza, alla propria percezione di cosa sia richiesto per essere fedeli a Dio oppure abiuri, rifiuti. La scelta del contadino non sarà mai la stessa scelta del prete, la scelta del forte non sarà la possibilità del debole, che dovrà trovare il suo modo di sequela. Scorsese lo mette bene in evidenza: tutto consiste in che posizione scegli davanti a Dio, che nessuno può copiare dalle pagine della storia altrui.

La “persecuzione” graffia perché la scelta in questa situazione ha una conseguenza, dare se stesso o rifiutare se stesso, ma è un livello di fede ulteriore. Certamente la fede che prova un grande amore immaginando il Cristo di El Greco non è più che immaginazione, e lì c’è silenzio, nell’immaginazione non c’è bisogno di sentire la voce di Lui, non serve e non c’è che la propria voce. Quando invece si usa la propria voce per rispondere a Dio, spinto, costretto, stimolato dalle cose che accadono, c’è bisogno di muoversi arrancando, con fede e dubbio, perché ci si sta muovendo cercando dove mettere il piede avanti, verso Dio. Banalizziamo, se riduciamo tutto a dubbio contro fede. Non ha senso. I personaggi vogliono avere la fede cattolica, vogliono seguire il Signore Gesù “in quelle condizioni”.

Il film è una domanda: cosa significa martirio?
I contadini sono semplici, chiedono segni tangibili di fede forse più della fede stessa, perché hanno bisogno, la loro fede è “a tatto”, ma è vera. Per una coscienza semplice calpestare un segno della fede è essenziale, è abiura o martirio; è come se calpestassero il Signore in persona. Per un contadino il martirio è per onorare il Signore, come farebbe un samurai per onorare il feudatario, ed quindi è vero martirio: lo subisce, non lo cerca, non lo vuole, e lo vive per Lui.

Rodriguez è un Gesuita, è un prete ed a lui è chiesto di rispondere anche della vita degli altri, a differenza dei contadini che, spiega Inoue, “per quanto parlino… non riusciranno a decidere niente”. Rodriguez no: “tu capisci”, dirà Inoue, il che vuol dire “tu sai prendere una decisione”. Cosa significa per lui martirio?

Se vuoi sapere cosa ha in mente, ascolta come i Gesuiti commentano la notizia della scelta di padre Ferreira: incredibile la notizia dell’abiura, scandalo agli occhi della chiesa e del mondo. Il martirio è forza, coraggio, gloria; l’abiura una vergogna. In Giappone questa certezza fa i conti con la concretezza e si avverte il silenzio. Forza? Coraggio? Rodriguez all’inizio è attento a “sentirsi utile per questa gente” e il dibattito verte sul “si deve” aver forza o “non si deve” aver coraggio del martirio.

La prima volta che i contadini rischiano, guarda da lontano. Kichijiro è debole e la sua debolezza quasi costringe gli altri a fare i conti con la parte più debole di sé e Rodriguez a sedersi, prigioniero, con i contadini, seduti, prigionieri. Mentre questi subiscono un vero martirio, egli pensa “fa’ o Signore che il martirio sia di gloria e non di vergogna”, ma è Inoue, ancora una volta, a rivelare che “il prezzo della vostra gloria è la loro sofferenza“. Quando è costretto a sentire le grida, queste lo piegano perché la sua coscienza sa che sono “il prezzo della propria gloria”.

Alla fine deve scegliere se rinnegare o salvare cinque cristiani. Attenti qui: p. Ferreira gli fa notare “hanno già abiurato… ora muoiono per te” e p. Rodriguez deve scegliere come un prete sceglie, non solo per sé, e vive la prova che solo un prete può affrontare: i cinque hanno abiurato, ma se moriranno saranno considerati martiri agli occhi del mondo e della chiesa, ma apostati agli occhi di Dio, e lui, il prete gesuita, se rifiuterà di calpestare una immagine di metallo li farà morire, nel qual caso egli sarà considerato un eroe, un martire, agli occhi del mondo e della chiesa, ma un demonio agli occhi di Dio, perché essi sono morti per lui, e non per Cristo. La sua coscienza è davanti a un dilemma sottile: calpesta, così i cinque che hanno abiurato potranno salvarsi la vita e l’anima e lui, il prete gesuita, sarà considerato un caduto, agli occhi del mondo e della chiesa, ma un martire agli occhi di Dio. Gli altri non sono e non possono essere immolati a me stesso, sarebbe l’anticristo, che si mette al posto di Cristo. Questa scelta ha le sue conseguenze: la vergogna. Tutti credono che abbia abiurato ma lui ormai è silenzio, per custodire la risposta che nella sua coscienza ha dovuto prendere, in quel momento, davanti a Dio e che ormai lo segna.

L’ultima frase del film invita a considerare la presa di posizione della coscienza, a non giudicare solo dall’apparenza. Quella moglie, che mette il crocifisso nelle mani in silenzio, è diventata cristiana, perché si è accorta dalla vita condivisa col marito colui per il quale egli stava vivendo e per chi faceva le cose. Ha vissuto un martirio di vergogna, continuo, per non rinnegare il suo Signore.
Kichijiro alla fine subisce anch’egli il suo martirio, quando per caso, si accorgono che è cristiano, ed allora non fugge più, perché anch’egli, il debole, non deve aver fede, neanche fino al martirio, solo per sforzarsi di essere forte, solo per coraggio.
Il martirio non è per sembrare forte, non per il coraggio, non per la gloria, non per il proprio riscatto (sociale), il martirio non lo si cerca, ma non lo si accetta neanche per essere considerati martiri, o eroi, agli occhi del mondo, finanche della chiesa, ma solo per Lui, anche se, alla fine, fosse l’unico a saperlo, in silenzio.

masterpDon Rocco Malatacca
(Lucera FG, 1982), è sacerdote per la Diocesi di Lucera-Troia dal 31 ottobre 2012, ha frequentato a Roma la licenza presso il Pontifcio Istituto Biblico, attualmente svolge il ministero sacerdotale come parroco della parrocchia S. Nicola di Bari in Orsara di Puglia.