Discorso del Papa all’incontro interreligioso nella moschea di Baku

Dopo l’incontro con le autorità, Papa Francesco si è recato alla moschea Heydar Aliyev, costruita di recente nel quartiere Binagadi di Baku e dedicata allo scomparso statista azero. Francesco è stato accolto ai piedi della scala mobile all’ingresso della moschea dallo Sceicco che lo ha accompagnato all’interno dell’edificio attraverso il grande portone centrale. In corrispondenza del Mihrab, è avvenuto lo scambio dei doni. Lo Sceicco ha donato al Papa un tappeto, Francesco ha donato allo Sceicco un mosaico con la veduta di Castel Sant’Angelo. Poi il Papa e lo Sceicco hanno avuto un incontro privato e al termine si sono trasferiti nella Sala principale della Moschea dove è avvenuto l’incontro interreligioso con lo stesso Sceicco e con i rappresentanti delle altre Comunità religiose del Paese.

Questo il testo del discorso del Papa:

rv19917_lanciograndeTrovarsi qui insieme è una benedizione. Desidero ringraziare il presidente del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che con la consueta cortesia ci ospita, e i Capi religiosi locali della Chiesa Ortodossa Russa e delle Comunità Ebraiche. È un grande segno incontrarci in amicizia fraterna in questo luogo di preghiera, un segno che manifesta quell’armonia che le religioni insieme possono costruire, a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili. Qui ne danno prova, ad esempio, l’aiuto concreto che il presidente del Consiglio dei Musulmani ha garantito in più occasioni alla comunità cattolica, e i saggi consigli che, in spirito di famiglia, condivide con essa; sono anche da sottolineare il bel legame che unisce i Cattolici alla Comunità Ortodossa, in una fraternità concreta e in un affetto quotidiano che sono un esempio per tutti, e la cordiale amicizia con la comunità ebraica.

Di questa concordia beneficia l’Azerbaigian, che si distingue per l’accoglienza e l’ospitalità, doni che ho potuto sperimentare in questa memorabile giornata, per la quale sono molto grato. Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura: anche il cattolicesimo, ad esempio, trova posto e armonia tra altre religioni ben più numerose, segno concreto che mostra come non la contrapposizione, ma la collaborazione aiuta a costruire società migliori e pacifiche. Il nostro trovarci insieme è anche in continuità con i numerosi incontri che si svolgono a Baku per promuovere il dialogo e la multiculturalità. Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti. Ho fiducia che questo Paese, «porta tra l’Oriente e l’Occidente» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso nella Cerimonia di benvenuto, Baku, 22 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 838), coltivi sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo.

La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo. Un grande poeta, figlio di questa terra, ha scritto: «Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli uomini stanno bene tra di loro» (NIZAMI GANJAVI, Il libro di Alessandro, I, Sul proprio stato e il passare del tempo). Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose.

Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: «Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!» (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, «amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine» (ibid., Disperazione di Majnūn).

La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore (cfr Gen 4,7). In questo senso le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé. E noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo. Vediamo, infatti, come ai nostri giorni, da una parte imperversa il nichilismo di chi non crede più a niente se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti, di chi butta via la vita adeguandosi all’adagio «se Dio non esiste tutto è permesso» (cfr F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, XI, 4.8.9); dall’altra parte, emergono sempre più le reazioni rigide e fondamentaliste di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente.

Le religioni, al contrario, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni.

È invece fecondo un legame virtuoso tra società e religioni, un’alleanza rispettosa che va costruita e custodita, e che vorrei simboleggiare con un’immagine cara a questo Paese. Mi riferisco alle pregiate vetrate artistiche presenti da secoli in queste terre, fatte soltanto di legno e vetri colorati (Shebeke). Nel produrle artigianalmente, vi è una particolarità unica: non si usano colle né chiodi, ma si tengono insieme il legno e il vetro incastrandoli fra di loro con un lungo e accurato lavoro. Così il legno sorregge il vetro e il vetro fa entrare la luce. Allo stesso modo è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà. Non vanno dunque usate le “colle” artificiali che costringono l’uomo a credere, imponendogli un determinato credo e privandolo della libertà di scelta; non devono entrare nelle religioni neanche i “chiodi” esterni degli interessi mondani, delle brame di potere e di denaro. Perché Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane.

Onoriamo invece la provvidente misericordia divina verso di noi con la preghiera assidua e con il dialogo concreto, «condizione necessaria per la pace nel mondo, dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 250). Preghiera e dialogo sono tra loro profondamente correlati: muovono dall’apertura del cuore e sono protesi al bene altrui, dunque si arricchiscono e rafforzano a vicenda. La Chiesa Cattolica, in continuità con il Concilio Vaticano II, con convinzione «esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Dich. Nostra aetate, 2). Nessun «sincretismo conciliante», non «un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 251), ma dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr Is 2,4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace.

Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune (cfr Gen 4,10). Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione. La vera questione del nostro tempo non è come portare avanti i nostri interessi – questa non è la vera questione – ma quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. Dio, e la storia stessa, ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso.

Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti. Specialmente in questa amata regione caucasica, che ho tanto desiderato visitare e nella quale sono giunto come pellegrino di pace, le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi. Le inestimabili ricchezze di questi Paesi vengano conosciute e valorizzate: i tesori antichi e sempre nuovi di sapienza, cultura e religiosità delle genti del Caucaso sono una grande risorsa per il futuro della regione e in particolare per la cultura europea, beni preziosi cui non possiamo rinunciare. Grazie

 

Questo il testo del discorso dello Sceicco:

A Nome del Creatore Unico!

Sua Santità Padre Francesco,

è onore mio di poterLa salutare in Azerbaigian, a nome dei musulmani del Caucaso e di tutte le comunità religiose che vivono nel nostro paese.

La Vostra visita, non a caso capita nel periodo dell’anno dichiarato “Anno del Multiculturalismo”, in questa terra antica abitata da fedeli del Creatore Unico, in questo suolo di rispetto che da sempre ospita nel suo cuore gli adepti delle religioni Celestiali. Siete benvenuto in Azerbaigian, Paese di antiche tradizioni con uno Stato ricco di un patrimonio culturale che è voluto rimanere sempre legato ai suoi valori religiosi, rafforzando al contempo il suo multiculturalismo e tolleranza.

Il Suo Viaggio Apostolico, i suoi incontri con il nostro stimato Presidente della Repubblica Sua Eccellenza Ilham Aliyev in Vaticano e in Azerbaigian, serviranno ovviamente a rafforzare questi legami ad un più alto livello fra la Santa Sede e la Repubblica dell’Azerbaigian, Inshallah! Sua Santità, Giovanni Paolo II, capo della Chiesa Cattolica, ha effettuato un viaggio apostolico in Azerbaigian all’inizio del III millennio previo invito del grande leader del popolo azerbaigiano Heydar Aliyev. Una Chiesa fù costruita per l’esigua comunità cattolica nel nostro Paese. Sua Santità, nel Suo viaggio apostolico di oggi in Azerbaigian e con la messa celebrata in questa Chiesa, Lei ha predicato il Suo messagio di portata mondiale.

Sua Santità!

Come capo dello Stato del Vaticano e dei cattolici del mondo, le Sue attività suscitano in noi un vivo interesse. E’ molto importante osservare il Suo approccio critico ai problemi che preoccupano il mondo, la Sua seria riprovazione del problema dei migranti, la sua protesta nel collegare il nome d’Islam al terrorismo e al contempo la Sua dura condanna alle cause reali del terrorismo e i suoi incisivi discorsi contro casi di xenofobia. Il Suo incontro con Sua Santità Patriarca Kirill, Capo della Chiesa Ortodossa, ha aperto un importante capitolo delle relazioni fra le confessioni. Come Capo dei musulmani, partecipando nella Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, ho lodato questo incontro storico nelle mie lettere augurali inviate a Sua Santità e al Patriarca Kirill, e anche nei miei discorsi a seguire. Auguro quindi la continuazione di questo dialogo.

Sua Santità!

Come in tutti gli eventi di alto livello, siamo venuti di nuovo a questo Suo incontro con i rappresentanti di tutte le confessioni dell’Azerbaigian. Questo rappresenta la realtà dell’Azerbaigian. Questo costituisce il nostro modo usuale di vita. La nostra è una realtà vista come modello per il mondo. Ne è testimone il conseguimento del successo ottenuto nelle relazioni tra le varie religioni in Azerbaijan e la loro convivenza. Tutti questi fattori si basano su un alto livello delle religioni con lo Stato che considera il multiculturalismo come una politica statale, e l’attività, l’attenzione e la cura del nostro Capo di Stato lo conferma mostrandosi come Presidente di ogni cittadino azerbaigiano, indipendentemente dalla sua nazionalità o religione.

Le diversità etniche e religiose costituiscono la ricchezza nazionale dell’Azerbaigian. Il nostro popolo e il nostro Stato salvaguardano questo patrimonio per le generazioni future. Inoltre la tutela del patrimonio nazionale dell’Azerbaigian, i monumenti storici e religiosi in varie parti del mondo, rivestono un’appartenenza nuova con le iniziative caritatevoli di Mehriban Aliyeva, la First Lady del nostro Paese e Presidente della Fondazione Heydar Aliyev. I Progetti realizzati in Vaticano da questa Fondazione, rappresentano il rispetto immenso del popolo azerbaigiano verso il patrimonio mondiale.

Il Consiglio dei Musulmani del Caucaso diretto da me, sviluppa i suoi legami con il Vaticano. Esiste una fruttuosa ed effettiva cooperazione con i rappresentanti ufficiali del Vaticano che si evidenzia durante eventi internazionali sul dialogo e la collaborazione interreligiosa. Il Vaticano è rappresentato ad alto livello nei Forums Globale e Umanitario sul dialogo interculturale, nel Vertice di Baku dei Leaders Religiosi organizzati con cura dello Stato di Azerbaigian, e dal Consiglio Interreligioso delle Comunità degli Stati Indipendenti dove opero come copresidente. Abbiamo iniziato una cooperazione fruttuosa con il Suo nunzio apostolico nel Caucaso meridionale e con il Suo rappresentante a Baku. Apprezziamo molto questi legami.

Sua Santità!

Apprezziamo i Suoi sforzi nella risoluzione dei conflitti in nome della pace nel mondo durante i Suoi viaggi, e anche all’importanza che Lei dà al dialogo interreligioso. Abbiamo appreso con attenzione e rispetto le Sue parole di grande leader religioso riguardo l’importanza di una risoluzione pacifica del conflitto di Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian. Il popolo, lo Stato e il capo dell’Azerbaigian desiderano una risoluzione giusta e pacifica di questo conflitto sulla base delle norme del diritto internazionale. A più riprese, ho incontrato i leaders religiosi dell’Armenia con l’aiuto delle Chiese Ortodosse Russa e Georgiana, e anche con il sostegno del Consiglio ecumenico delle Chiese. Assieme abbiamo dichiarato che questo conflitto non è un confronto religioso.

Sua Santità!

Come Leader religioso mondiale, confidiamo sempre sui Suoi sforzi nella risoluzione giusta e pacifica del conflitto di Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian . Il nostro libro sacro – il Corano ci dice: “O voi che credete, siate testimoni sinceri davanti ad Allah, secondo giustizia… Siate equi: l’equità è consona alla devozione”. (Il Sacro Corano, Al-Ma’ida, ayyat 8).

Sua Santità!

Sua Santità, colgo altresì occasione di porgerle a nome mio e di tutti i credenti dell’Azerbaigian, i più sentiti auguri per il Suo imminente ottantesimo compleanno.

Che il Nostro Creatore Unico benefica pace e prosperità al mondo intero! Amen!

(Da Radio Vaticana)

Papa: no a indottrinamento gender, ma accogliere tutti come farebbe Gesù

reuters1745597_lanciograndePapa Francesco ha concluso ieri sera il suo 16.mo viaggio apostolico che lo ha portato in Georgia e Azerbaigian. Dopo l’atterraggio a Roma si è recato alla basilica di Santa Maria Maggiore per pregare e ringraziare la Madonna del buon andamento del viaggio.

Poco prima aveva dialogato in aereo con i giornalisti del seguito. Tanti i temi al centro del colloquio: oltre a commentare la sua nuova visita nel Caucaso, ha parlato dei suoi prossimi viaggi, delle questioni del gender e dell’omosessualità, dei rapporti con la Cina e altro ancora. Ascoltiamo i particolari in questo servizio di Massimiliano Menichetti:

Partono dalla Georgia le risposte del Papa ai giornalisti, una terra che definisce cristiana fino nel midollo e che ha “scoperto” con “tanta cultura e fede”. Francesco è toccato dal Patriarca Ilia II, “un uomo di Dio”, ribadisce più volte, che lo ha “commosso”. Poi indica la via dell’ecumenismo:

“Pregare gli uni per gli altri. Questo è importantissimo: la preghiera. E secondo, fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo insieme con i poveri; c’è questo e questo problema, possiamo farlo insieme? Lo facciamo insieme; ci sono i migranti? Facciamo insieme cose … Facciamo le cose del bene per gli altri. Insieme. Questo possiamo farlo. E questo è il cammino dell’ecumenismo”.

Sulle questioni tra Armenia e Azerbaigian invoca “dialogo sincero” e per non cadere nella via della “guerra” parla del “coraggio di andare presso un Tribunale internazionale” come quello all’Aia:

“La guerra distrugge sempre, con la guerra si perde tutto! E anche, i cristiani, la preghiera, pregare per la pace perché questi cuori prendano questo cammino di dialogo, di negoziato o di andare a un tribunale internazionale”.

Sollecitato su omosessualità e gender il Pontefice afferma che ha accompagnato nella “vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa, persone con tendenza e con pratica omosessuali:

“Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: ‘Vattene via perché sei omosessuale!’”.

Condanna ancora una volta con fermezza l’ideologia gender, la “cattiveria” dell’indottrinamento, soprattutto dei ragazzi nelle scuole “per cambiare la mentalità”, quelle forme che chiama “colonizzazioni ideologiche”. Poi parla di un ragazzo spagnolo che ha cambiato sesso e ribadisce la necessità di avere un cuore aperto:

“Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: ‘Ma, tutto è lo stesso, facciamo festa’. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo”.

Questo – afferma – “è quello che farebbe Gesù oggi”, poi aggiunge:

“Per favore, non dite: ‘Il Papa santificherà i trans!’. Per favore, eh?”.

E prosegue:

“Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo parlato nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’Amoris Laetitia, ma sempre così, ma sempre con il cuore aperto”.

Francesco quindi torna anche sul tema del divorzio, delle famiglie ferite e dell’attacco alla famiglia:

“L’immagine di Dio non è l’uomo: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non ben gestiti e anche filosofie di oggi, faccio questo, quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto, è questa guerra mondiale che lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee”.

Centrale per Francesco è il fatto che “l’ultima parola non l’ha il peccato, l’ultima parola l’ha la misericordia”. Esorta alla lettura integrale dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, dove dice “che esiste il peccato, la rottura, ma anche la cura, la misericordia, la redenzione” e mostra la via per risolvere i problemi:

“Con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare”.

Tante e a 360 gradi le domande dei giornalisti. Spiega che presto saranno eletti 13 nuovi cardinali che apparterranno ai cinque continenti perché si veda l’universalità della Chiesa. Sulla visita, “privata”, ai terremotati in Centro Italia ribadisce che a breve sceglierà la data, citando la possibilità della prima domenica d’Avvento. Molti gli appuntamenti internazionali per il prossimo anno a partire dalla visita a Fatima, poi India e Bangladesh, non ha confermato il viaggio in Africa né quello in Colombia, legato al processo di pace. Sulla Cina ammette il desiderio e ribadisce la stima per quel popolo, ma spiega:

“I rapporti tra Vaticano e i cinesi, si deve fissare in un rapporto e di questo si sta parlando, lentamente … Ma le cose lente vanno bene, sempre. Le cose in fretta non vanno bene”.

Sollecitato sul conferimento del prossimo Premio Nobel per la Pace evoca un riconoscimento, una dichiarazione dell’umanità per le vittime della guerra, delle bombe: bambini, invalidi, anziani, violenza – dice – che “è un peccato contro Gesù Cristo”:

“La carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è la carne di Cristo. Ma ci vorrebbe che l’umanità dicesse qualcosa per le vittime delle guerre”.

Interpellato sulla campagna presidenziale negli Stati Uniti non si esprime, sottolineando che il “popolo è sovrano”, pure evidenziando che “quando succede che in un Paese qualsiasi ci sono due, tre, quattro candidati che non danno soddisfazione a tutti, significa che la vita politica di quel Paese forse è troppo politicizzata ma non ha tanta cultura politica”.

(Da Radio Vaticana)

Il Papa cresima un ragazzo gravemente malato

Papa Francesco ha amministrato il sacramento della cresima a Giuseppe Chiolo, un ragazzo di sedici anni gravemente malato. Il rito – riferisce l’Osservatore Romano – si è svolto all’Arco delle campane subito prima dell’udienza giubilare. Giuseppe, originario di Mazzarino in Sicilia, è ricoverato nel reparto oncologico dell’ospedale Meyer di Firenze ed è arrivato in Vaticano su un’ambulanza della Misericordia di Badia a Ripoli.

Francesco, dopo averlo abbracciato, ha amministrato il sacramento a Giuseppe, seduto sulla sedia a rotelle, donandogli poi una corona del rosario con la raccomandazione di non dimenticare di pregare per lui. Nei giorni scorsi il ragazzo aveva scritto una lettera al Papa confidandogli il suo forte desiderio di incontrarlo. E ricevendo subito l’invito a venire in Vaticano. Ad assistere il Papa erano l’arcivescovo Rino Fisichella e monsignor Stefano Sanchirico.

Francesco ha poi avuto parole di incoraggiamento per i familiari di Giuseppe: i genitori Carmelo e Maria Giuseppina e la sorella Dafne. Con loro erano presenti anche il cappellano del Meyer, don Fabio Marella, vice direttore della Caritas diocesana fiorentina, e una zia del ragazzo. Un ringraziamento del tutto particolare il Papa ha rivolto ai tre volontari della Misericordia che hanno assicurato il viaggio di Giuseppe: Valentina Nutini, Niccolò Farsetti e Giampiero Gaggi.

Anche in piazza San Pietro, durante l’udienza, Francesco ha voluto salutare con affetto le persone ammalate e disabili. Con un sorriso speciale per Laura Salafia, colpita da una pallottola sei anni fa a Catania mentre usciva dalla sua facoltà di lettere. A ferirla gravemente un uomo che aveva sparato a un’altra persona. Laura, rimasta paralizzata, ha affrontato delicate operazioni e lunghi ricoveri cercando di recuperare autonomia. Nonostante tutto, proprio grazie alla fede è divenuta una testimone di speranza e di voglia di vivere, perdonando anche l’uomo che le ha sparato.

Accanto a lei, Pompeo Barbieri, sopravvissuto nel 2002 al crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia provocato dal terremoto. Pur su una sedia a rotelle, Pompeo ha saputo «rilanciarsi nella vita» e diventare anche campione italiano di nuoto.

(Da Radio Vaticana)

E tu vuoi pregare insieme al Papa per una società più umana?

Questo video è una iniziativa globale sostenuta dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa (Apostolato della Preghiera) per collaborare alla diffusione delle intenzioni mensili del Santo Padre sulle sfide dell’umanità.

Per le intenzioni del mese di settembre, papa Francesco ha invitato a contribuire al bene comune e alla costruzione di una società che ponga nuovamente la persona umana al centro.

Concepito e prodotto da La Machi Communication for Good Causes il video del Papa gode anche del sostegno della Compagnia di Gesù, di IndigoMusic, GettyImagesLatam e con la collaborazione del Centro Televisivo Vaticano.

Papa Francesco: Il diavolo vuole dividere la Chiesa alla radice dell’unità, la Messa

di Sergio Centofanti

Le divisioni distruggono la Chiesa e il diavolo cerca di attaccare quella che è la radice dell’unità, ovvero la celebrazione eucaristica: lo ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa fa memoria del Nome di Maria.

Commentando la Lettera di San Paolo ai Corinzi, rimproverati dall’apostolo per i loro litigi, Papa Francesco ha ribadito che “il diavolo ha due armi potentissime per distruggere la Chiesa: le divisioni e i soldi”. E questo è accaduto sin dall’inizio: “divisioni ideologiche, teologiche, che laceravano la Chiesa. Il diavolo semina gelosie, ambizioni, idee, ma per dividere! O semina cupidigia”. E come avviene dopo una guerra “tutto è distrutto. E il diavolo se ne va contento. E noi – ingenui, stiamo al suo gioco”. “E’ una guerra sporca quella delle divisioni – ripete ancora una volta il Papa – è come un terrorismo”, quello delle chiacchiere nelle comunità, quello della lingua che uccide, “butta la bomba, distrugge e rimango”:

“E le divisioni nella Chiesa non lasciano che il Regno di Dio cresca; non lasciano che il Signore si faccia vedere bene, come è Lui. Le divisioni fanno sì che si veda questa parte, quest’altra  contro di questa, contro di… Sempre contro! Non c’è l’olio dell’unità, il balsamo dell’unità. Ma il diavolo va oltre, non solo nella comunità cristiana, va proprio alla radice dell’unità cristiana. E questo che accade qui, nella città di Corinto, ai Corinzi. Paolo li rimprovera perché le divisioni arrivano proprio, proprio alla radice dell’unità, cioè alla celebrazione eucaristica”.

Nel caso dei Corinzi, vengono fatte divisioni tra i ricchi e i poveri proprio durante la celebrazione eucaristica. Gesù – sottolinea il Papa – “ha pregato il Padre per l’unità. Ma il diavolo cerca di distruggere fino a lì”:

“Io vi chiedo di fare tutto il possibile per non distruggere la Chiesa con le divisioni, siano ideologiche, siano di cupidigia e di ambizione, siano di gelosie. E soprattutto di pregare e custodire la fonte, la radice propria dell’unità della Chiesa, che è il Corpo di Cristo; che noi – tutti i giorni – celebriamo il suo sacrificio nell’Eucarestia”.

San Paolo parla delle divisioni tra i Corinzi, 2000 anni fa …

“Questo può dirlo Paolo oggi a tutti noi, alla Chiesa d’oggi. ‘Fratelli, in questo, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio!’. Ma, la Chiesa riunita tutta… Per il peggio, per le divisioni: per il peggio! Per sporcare il Corpo di Cristo nella celebrazione eucaristica! E lo stesso Paolo ci dice, in un altro passo: ‘Chi mangia e beve il Corpo e il Sangue di Cristo indegnamente, mangia e beve la propria condanna’. Chiediamo al Signore l’unità della Chiesa, che non ci siano divisioni. E l’unità anche nella radice della Chiesa, che è proprio il sacrificio di Cristo, che ogni giorno celebriamo”.

Era presente alla celebrazione anche mons. Arturo Antonio Szymanski Ramírez, arcivescovo emerito di San Luis Potosí (Messico), 95 anni il prossimo gennaio. All’inizio dell’omelia il Papa lo ha citato, ricordando che ha partecipato al Concilio Vaticano II e che oggi aiuta in parrocchia. Il Pontefice lo aveva ricevuto in udienza lo scorso 9 settembre.