Il sacerdote che parlava a bassa voce e oggi è papa

Screenshot 2017-01-18 16.54.12Alcuni film che vogliono raccontare la vita di papa Francesco sintetizzano il suo passaggio per il Colegio Máximo di San Miguel come anni dedicati solo alla sopravvivenza nel conflitto che vedeva contrapporsi il Governo militare e i guerriglieri, ma non era questo che percepivano i bambini e gli adolescenti di San Miguel pensando a padre Bergoglio.

Alle Messe del sabato sera al Colegio Máximo arrivavano persone di varie zone – non perché non ci fossero altre parrocchie a San Miguel, visto che a non più di un chilometro c’è la cattedrale di San Miguel e poco più distanti le parrocchie di José C Paz, San Miguel, Muñiz o Bella Vista, ma erano anni di vive predicazioni e di grandi cori nella casa di formazione dei gesuiti.

Padre Moyano, il principale incaricato di celebrare quelle Messe, veniva occasionalmente sostituito da un altro sacerdote, tra i quali uno che faceva sì che i primi banchi della cappella del primo piano si riempissero rapidamente perché la gente potesse ascoltarlo, visto che padre Jorge Bergoglio parlava con un tono di voce molto basso.

María, all’epoca adolescente e oggi nonna, riferisce che le sue Messe non erano noiose, semplicemente parlava a bassa voce.

La linea di padre Bergoglio, come degli altri sacerdoti che celebravano la Messa nella cappella del Máximo in quegli anni convulsi, era quella di predicare l’amore per i nemici, per chi non la pensa come noi.

Questo messaggio risuona ancora oggi tra quelli che all’epoca non erano ancora adulti e ricordano quasi in modo letterale alcune frasi delle omelie.

Per aver predicato con intensità quel messaggio, ricordano da San Miguel, uno dei sacerdoti gesuiti dovette trasferirsi in Uruguay, alla frontiera con il Brasile.

In alcuni libri e film si evocano le discussioni tra i sacerdoti per il loro grado di coinvolgimento nel conflitto che viveva l’Argentina, ma per i vicini di San Miguel che abbiamo interpellato e che non erano parte attiva del conflitto erano innanzitutto sacerdoti, presbiteri vicini alle famiglie, con le quali mangiavano e pregavano, affettuosi con i bambini.

Per circa dieci anni, padre Bergoglio è stato uno dei principali celebranti delle Messe del Máximo e della parrocchia fondata dai gesuiti in una delle vie laterali sulle quali si affaccia l’immenso edificio della scuola. Era il sacerdote che parlava a bassa voce ma non annoiava pronunciando massime che si ricordano ancora oggi.

Quelli che all’epoca erano bambini e adolescenti lo ricordano come il sacerdote a cui non piaceva parlare in pubblico. In questi 40 anni è cambiato qualcosa. I bambini ormai sono genitori, gli adolescenti iniziano a diventare nonni e il sacerdote che parlava a bassa voce oggi è papa e può predicare senza arrossire davanti a centinaia di migliaia di persone.

UM School of Art

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

La lezione di Scorsese sul martirio cristiano

Screenshot 2017-01-18 16.53.53Silence” ha il pregio di non presentare solo una storia di Gesuiti, anche la prospettiva della spiritualità gesuita sulle cose, da un punto di vista estremamente sottile: la coscienza. La storia diventa interessante se vista da qui. In fondo, la situazione resta identica per tutto il film, la “persecuzione dei cattolici” nel Giappone feudale del 1639, per cui non c’è alcun reale progresso, perché tutto si gioca nella coscienza.
In questo modo, la storia avanza passo dopo passo per le decisioni dei due “padres” Garupe e Rodriguez che salpano per il Giappone, tuttavia ciascuno dei personaggi nella tormentata scena della persecuzione, nella propria coscienza è chiamato a scegliere Gesù Cristo in un clima tormentoso, domanda esattamente posta dal gesuita all’inizio, nel villaggio: “come credere in una situazione del genere?”. Ognuno deve trovare il modo, cosa che non significa una fede a modo proprio: la fede è quella cattolica e il Signore è l’unico Gesù Cristo, per cui ognuno deve trovare il modo di seguire Lui, anche “in una situazione del genere”.
Il contesto non favorisce una vita cristiana tranquilla, ed il film chiede se questa sia davvero desiderabile. La situazione di “persecuzione” graffia con l’obbligatorietà di una scelta. Ognuno sceglie. Scelga in base alla propria coscienza, alla propria percezione di cosa sia richiesto per essere fedeli a Dio oppure abiuri, rifiuti. La scelta del contadino non sarà mai la stessa scelta del prete, la scelta del forte non sarà la possibilità del debole, che dovrà trovare il suo modo di sequela. Scorsese lo mette bene in evidenza: tutto consiste in che posizione scegli davanti a Dio, che nessuno può copiare dalle pagine della storia altrui.

La “persecuzione” graffia perché la scelta in questa situazione ha una conseguenza, dare se stesso o rifiutare se stesso, ma è un livello di fede ulteriore. Certamente la fede che prova un grande amore immaginando il Cristo di El Greco non è più che immaginazione, e lì c’è silenzio, nell’immaginazione non c’è bisogno di sentire la voce di Lui, non serve e non c’è che la propria voce. Quando invece si usa la propria voce per rispondere a Dio, spinto, costretto, stimolato dalle cose che accadono, c’è bisogno di muoversi arrancando, con fede e dubbio, perché ci si sta muovendo cercando dove mettere il piede avanti, verso Dio. Banalizziamo, se riduciamo tutto a dubbio contro fede. Non ha senso. I personaggi vogliono avere la fede cattolica, vogliono seguire il Signore Gesù “in quelle condizioni”.

Il film è una domanda: cosa significa martirio?
I contadini sono semplici, chiedono segni tangibili di fede forse più della fede stessa, perché hanno bisogno, la loro fede è “a tatto”, ma è vera. Per una coscienza semplice calpestare un segno della fede è essenziale, è abiura o martirio; è come se calpestassero il Signore in persona. Per un contadino il martirio è per onorare il Signore, come farebbe un samurai per onorare il feudatario, ed quindi è vero martirio: lo subisce, non lo cerca, non lo vuole, e lo vive per Lui.

Rodriguez è un Gesuita, è un prete ed a lui è chiesto di rispondere anche della vita degli altri, a differenza dei contadini che, spiega Inoue, “per quanto parlino… non riusciranno a decidere niente”. Rodriguez no: “tu capisci”, dirà Inoue, il che vuol dire “tu sai prendere una decisione”. Cosa significa per lui martirio?

Se vuoi sapere cosa ha in mente, ascolta come i Gesuiti commentano la notizia della scelta di padre Ferreira: incredibile la notizia dell’abiura, scandalo agli occhi della chiesa e del mondo. Il martirio è forza, coraggio, gloria; l’abiura una vergogna. In Giappone questa certezza fa i conti con la concretezza e si avverte il silenzio. Forza? Coraggio? Rodriguez all’inizio è attento a “sentirsi utile per questa gente” e il dibattito verte sul “si deve” aver forza o “non si deve” aver coraggio del martirio.

La prima volta che i contadini rischiano, guarda da lontano. Kichijiro è debole e la sua debolezza quasi costringe gli altri a fare i conti con la parte più debole di sé e Rodriguez a sedersi, prigioniero, con i contadini, seduti, prigionieri. Mentre questi subiscono un vero martirio, egli pensa “fa’ o Signore che il martirio sia di gloria e non di vergogna”, ma è Inoue, ancora una volta, a rivelare che “il prezzo della vostra gloria è la loro sofferenza“. Quando è costretto a sentire le grida, queste lo piegano perché la sua coscienza sa che sono “il prezzo della propria gloria”.

Alla fine deve scegliere se rinnegare o salvare cinque cristiani. Attenti qui: p. Ferreira gli fa notare “hanno già abiurato… ora muoiono per te” e p. Rodriguez deve scegliere come un prete sceglie, non solo per sé, e vive la prova che solo un prete può affrontare: i cinque hanno abiurato, ma se moriranno saranno considerati martiri agli occhi del mondo e della chiesa, ma apostati agli occhi di Dio, e lui, il prete gesuita, se rifiuterà di calpestare una immagine di metallo li farà morire, nel qual caso egli sarà considerato un eroe, un martire, agli occhi del mondo e della chiesa, ma un demonio agli occhi di Dio, perché essi sono morti per lui, e non per Cristo. La sua coscienza è davanti a un dilemma sottile: calpesta, così i cinque che hanno abiurato potranno salvarsi la vita e l’anima e lui, il prete gesuita, sarà considerato un caduto, agli occhi del mondo e della chiesa, ma un martire agli occhi di Dio. Gli altri non sono e non possono essere immolati a me stesso, sarebbe l’anticristo, che si mette al posto di Cristo. Questa scelta ha le sue conseguenze: la vergogna. Tutti credono che abbia abiurato ma lui ormai è silenzio, per custodire la risposta che nella sua coscienza ha dovuto prendere, in quel momento, davanti a Dio e che ormai lo segna.

L’ultima frase del film invita a considerare la presa di posizione della coscienza, a non giudicare solo dall’apparenza. Quella moglie, che mette il crocifisso nelle mani in silenzio, è diventata cristiana, perché si è accorta dalla vita condivisa col marito colui per il quale egli stava vivendo e per chi faceva le cose. Ha vissuto un martirio di vergogna, continuo, per non rinnegare il suo Signore.
Kichijiro alla fine subisce anch’egli il suo martirio, quando per caso, si accorgono che è cristiano, ed allora non fugge più, perché anch’egli, il debole, non deve aver fede, neanche fino al martirio, solo per sforzarsi di essere forte, solo per coraggio.
Il martirio non è per sembrare forte, non per il coraggio, non per la gloria, non per il proprio riscatto (sociale), il martirio non lo si cerca, ma non lo si accetta neanche per essere considerati martiri, o eroi, agli occhi del mondo, finanche della chiesa, ma solo per Lui, anche se, alla fine, fosse l’unico a saperlo, in silenzio.

masterpDon Rocco Malatacca
(Lucera FG, 1982), è sacerdote per la Diocesi di Lucera-Troia dal 31 ottobre 2012, ha frequentato a Roma la licenza presso il Pontifcio Istituto Biblico, attualmente svolge il ministero sacerdotale come parroco della parrocchia S. Nicola di Bari in Orsara di Puglia.

Il prossimo miracolo di Lourdes?

«Io credo, ho fede: altrimenti non sarei venuta a Lourdes. Ma voglio stare con i piedi per terra. Voglio le prove della scienza. Perché non si scherza, su queste cose» così la madre felice ma pragmatica della piccola che sorda quasi dalla nascita, durante un viaggio a Lourdes con l’Unitalsi con la semplicità e la grazia che solo i più piccoli hanno, si è tolta l’apparecchio acustico e ha detto: ‘Ci sento bene, non mi servono più’. Una gioia infinita anche da parte degli altri 225 pellegrini che sono partiti dalla Lombardia per andare nel santuario mariano per eccellenza.

A riportare la notizia nel mese mariano per eccellenza, Maggio, è Avvenire, che ha contattato anche il direttore del pellegrinaggio, Giuseppe Secondi che racconta lo stupore di avvertire di ascoltare l’inedito dialogo tra madre e figlia, mentre interrompeva i giochi con la piccola: «Quando dico alla piccola che non posso più giocare con lei perché un impegno mi attende, torna dalla mamma e la vedo togliersi gli apparecchi acustici senza i quali è condannata alla sordità – racconta Giuseppe –. All’invito della madre a rimetterli, risponde: ‘Ci sento bene, non mi servono più’».

La donna è qui con la figlia e il secondogenito, il terzo figlio (11 mesi) e il marito a casa per impegni di lavoro. La famiglia vive in Liguria e si è aggregata al gruppo lombardo per un pellegrinaggio che doveva essere di ringraziamento per la Madonna perché dopo le complicazioni della nascita, la bimba era comunque sana e piena di vita: «Sì, mia figlia è sorda praticamente dalla nascita – spiega la donna –. È nata di 26 settimane, il giorno di Natale del 2009. Doveva venire alla luce all’inizio di aprile. Pesava 800 grammi. Ha passato tre mesi al Gaslini di Genova. Per salvarla le hanno dato medicine che le hanno provocato alcune emorragie cerebrali e le hanno ‘bruciato’ i canali uditivi. Gli esami hanno accertato che è affetta da sordità profonda a entrambe le orecchie. Gli apparecchi acustici le sono necessari». Ed ecco che «Una mattina mi sono detta: devo portare mia figlia a Lourdes. Per ringraziare la Madonna che l’ha protetta: rischiava la vita, ce l’ha fatta ed è una bimba serena e felice. Ma anche per chiedere sostegno, per trovare la forza di affrontare, lei, io, tutti noi, questo cammino di vita così esigente». E prosegue: «È la prima volta che veniamo a Lourdes. Ed è stata un’esperienza toccante e bellissima».

«Dove c’è umiltà c’è misericordia»: le meditazioni di Kiko Argüello

screenshot-2016-11-22-15-25-15È uscito per i tipi della Cantagalli “Annotazioni 1988-2014”, il nuovo libro di Kiko Argüello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale insieme a Carmen Hernández, tornata alla casa del Padre il 19 luglio scorso all’età di 85 anni. Kiko e padre Mario Pezzi sono i responsabili a livello mondiale del Cammino Neocatecumenale, nato negli anni ’60 tra i poveri, i baraccati di Palomeras Altas nella periferia di Madrid, oggi “diffuso in 900 diocesi di 105 nazioni, con oltre ventimila comunità in seimila parrocchie, circa cinquecentomila persone solo in Italia”(Corriere della Sera).

LE RADICI DELLA FECONDITÀ DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE

Nella presentazione del libro il cardinale Ricardo Blázquez Pérez,arcivescovo di Valladolid e presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, sottolinea che…

«Il Cammino Neocatecumenale affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II. È un carisma vigoroso, esteso in tutto il mondo e molto fecondo in frutti di conversione personale e di rinnovamento della Chiesa. (…)L’evangelizzazione nel nostro tempo, la “Nuova Evangelizzazione”, l’iniziazione cristiana e il catecumenato, radicati nel Concilio Vaticano II, si sono dispiegati in modo originale e profondo nel Cammino Neocatecumenale. Il catecumenato è attualmente, come nella Chiesa antica, il metodo dell’evangelizzazione, della conversione personale e della formazione della comunità cristiana. (…)Nel Cammino Neocatecumenale la proclamazione della Parola di Dio e la celebrazione dell’Eucaristia si rafforzano mutuamente. Un’autentica evangelizzazione richiede che si uniscano vitalmente Parola di Dio, Sacramenti ed esistenza concreta delle persone. (…) Il Cammino Neocatecumenale è immensamente fecondo in vocazioni sacerdotali e religiose, senza averle come finalità specifica. Quanti matrimoni e famiglie sono stati ricostruiti dal Vangelo ascoltato nella comunità! Quanto è efficace la trasmissione della fede cristiana ai figli nelle famiglie!»

NON FARE IL BENE PER PAURA DELLA VANITÀ VIENE DAL DEMONIO

Dopo aver dato alle stampe nel 2013 “Kerigma. Nelle baracche tra i poveri” (San Paolo edizioni) libro in cui Kiko Argüello racconta la sua storia e la nascita del Cammino Neocatecumenale, il nuovo testo raccoglie “pensieri, riflessioni, massime, ricordi, considerazioni, appunti, soliloqui, preghiere” scritte dal 1988 al 2014. L’autore afferma nell’introduzione che, temendo di rincorrere soltanto la sua vanità, ha sempre rifiutato l’idea di pubblicare questi pensieri nati in quasi trent’anni di evangelizzazione e catechesi insieme a Carmen Hernández e padre Mario Pezzi.

«Ora che pubblico queste annotazioni – perché mi è stato chiesto con insistenza – torno a ricordare ciò che mi disse una volta un anziano sacerdote: “Non smettere mai di fare il bene per paura della vanità, perché questo viene dal demonio”. Quale bene, in questo caso? Proclamare la gloria di Dio, dando testimonianza del suo amore gratuito e della sua fedeltà incondizionata a me che, come si potrà comprovare, sono inadeguato, indegno, inutile, infedele…».

Le 506 annotazioni contenute nel libro, sono “piccoli frammenti letterari” che possono essere letti in ordine sparso perché non ordinati per materie e categorie. Il lettore può gustare le riflessioni soffermandosi dove desidera e compiendo balzi avanti e indietro.

«Sono riflessioni che prendono spunto da un avvenimento, una convivenza o un incontro; sono appelli spirituali di annuncio o di denuncia; mozioni o chiamate alla speranza in cui si sente coinvolto il lettore: a volte sono confidenze audaci che sgorgano dall’anima dell’autore; altre sono una sorta di inni o salmi, di suppliche ardenti e di vibrante azione di grazie a Dio».

LA VIRTÙ DELL’UMILTÀ AL TEMPO DEL NARCISISMO

Abbiamo pensato di scegliere per i nostri lettori alcuni pensieri sull’umiltà perché oggi, più che mai, pare che l’uomo sia accecato dal peccato della superbia: crede di potersi autodeterminare, di poter disporre del dono della vita e di poter decidere della morte, di usare la scienza per manipolare la natura dell’essere umano, di soddisfare incondizionatamente ogni desiderio perfino quando mina il diritto dell’altro, del più debole. L’uomo moderno ha la tentazione di farsi Dio, di mettersi al Suo posto, senza più nemmeno il bisogno di costruirsi un vitello d’oro, un idolo da adorare, se non narcisisticamente egli stesso. Allora, come pregava San Filippo Neri nell’ultima tappa della visita alle Sette Chiese domandando “La virtù dell’Umiltà contro il vizio della Superbia, ed il dono della Sapienza”, anche noi possiamo meditare questi pensieri pregando Dio di sradicare dal nostro cuore “il maledetto vizio della Superbia, origine di ogni male” e di piantarvi “la virtù della santa Umiltà, radice di ogni bene”.

COS’È L’UMILTÀ PER IL CRISTIANO?

. Corona del cristiano è l’umiltà.

. Non c’è nulla di più alto sulla terra che l’umiltà.

. Il sigillo che ci marca “di Cristo” è l’umiltà.

. Cos’è l’umiltà? La verità.

. Che significa essere umile? Preferire l’amore di Cristo a tutto il resto.

. Cos’è essere umile? Accogliere con intima allegria il disprezzo e le offese per amore a Gesù.

. Cos’è avere umiltà? Fare del bene a coloro che ti hanno fatto del male.

. Cos’è l’umiltà? Essere, al di sopra di tutte le cose, uno nell’Uno.

. Tutto ciò in cui c’è Dio è umile.

. Sali a Dio scendendo i gradini dell’umiltà.

. Il cristiano è fatto grande dall’essere umile.

. Cosa ci attira della natura? La sua perfezione? La sua forza? La sua bellezza? La sua quietudine? La sua umiltà e la sua obbedienza. Le aneliamo perché ci mancano. Esse ci parlano di Dio.

I FRUTTI DELL’UMILTÀ

. Ricorda, figlio mio, che prima di tutto e soprattutto hai bisogno di umiltà, poiché essa vince l’avversario e distrugge tutto ciò che proviene dal nemico.

. Colui che è umile è obbediente.

. Colui che è umile perdona prima che gli chiedano perdono.

. Colui che è umile non tiene conto del male, lo comprende.

. Colui che è umile conosce le trappole del nemico e sa che in qualsiasi momento possiamo giudicare, avere gelosia, pensare male…; perciò tutto scusa.

. Quando ti perseguitano, figlio mio, ricorda che è meglio essere perseguitato che perseguitare. Quando ti umiliano, ricorda che è meglio essere umiliato che umiliare. E rallegrati.

. Concedimi, Signore, di amare i miei nemici, di non resistere al male. Dammi della tua tenerezza, della tua immensa umiltà. Sempre mi incoraggi, dal di dentro, non mi giudichi mai, mi vuoi bene, mi dici: “Coraggio”!

. Tu mi ridai sempre bene per male. Benedetto sia il tuo nome, Signore. La tua santità, la tua bontà, la tua umiltà, la tua mansuetudine, il tuo amore infinito, pieno di tenerezza… ed io miserabile, essere perverso e ingrato. Aiutami a volerti bene, ad essere mansueto, umile, paziente, a ricambiare bene per male.

. Soltanto l’umiltà ci permette di vedere, dalla sua “altezza”, la grazia e il perché di certe cose che ci accadono.

. Se Dio ti concede la santa umiltà di Cristo, sarai felice.

. È inutile scappare: la tentazione mi si presenta ovunque. Grazie ad essa devo ricorrere costantemente a Te. Se cadi, rialzati. Lotta! Prega. Umiliati! Combatti. Diventerai saggio e potrai aiutare gli altri.

«DOVE C’È UMILTÀ C’È MISERICORDIA»

«Dove c’è umiltà, c’è misericordia», questa annotazione dell’autore si presta mirabilmente a farci riflettere a poche ore dalla conclusione dell’Anno Santo, su uno dei profondi significati della misericordia, in questo tempo in cui il più grande peccato dell’uomo sembra essere rappresentato dalla superbia. Kiko Argüello dimostra di essere ben consapevole di quanto grande sia questa tentazione, e anche per questo innalza l’invocazione che chiude la sua introduzione al libro:

«Se queste annotazioni possano aiutare qualcuno, sia benedetto Dio. Ciò che, sì, spero è che il lettore, per intercessione della Santissima Vergine Maria, che ha ispirato e guida il Cammino Neocatecumenale, mi raccomandi alla misericordia di nostro Signore Gesù Cristo, perché mi salvi. Pregate per me che sono un peccatore».

Papa: tratta è crimine contro umanità, no a complicità e indifferenza

afp2662182_lanciograndeLa tratta di esseri umani “costituisce un vero crimine contro l’umanità”. Questa forte affermazione è stata ripetuta stamani dal Papa che ha incontrato, in Vaticano, circa 130 membri della “Renate”, la Rete religiosa europea contro la tratta e lo sfruttamento. La “Renate” è riunita in questi giorni a Roma nella sua seconda assemblea. Questa Rete è costituita  da religiose impegnate contro la tratta e i suoi membri provengono da Congregazioni religiose e Società missionarie. Fra loro anche laici. Nel discorsoFrancesco ringrazia i presenti per l’impegno nella reintegrazione delle vittime e rileva che serve “un migliore coordinamento di sforzi” da parte di governi, autorità giudiziarie e operatori sociali. Il servizio di Debora Donnini:

La tratta di esseri umani, moderna forma di schiavitù
Nel discorso rivolto alle tante religiose impegnate ogni giorno ad aiutare le vittime di tratta e sfruttamento, Francesco entra subito nel vivo del tema a lui molto caro, fin dagli anni di Buenos Aires, e ripreso più volte anche nel recente incontro con il Gruppo Santa Marta. Il Papa chiede che tutti, nel tempo di grazia del Giubileo, “come il buon Samaritano” portino “il balsamo” della misericordia di Dio alle tante ferite presenti nel nostro mondo:

“Una delle più dolorose di queste ferite aperte è la tratta di esseri umani, una moderna forma di schiavitù, che viola la dignità, dono di Dio, in tanti nostri fratelli e sorelle e costituisce un vero crimine contro l’umanità”.

Serve più coordinamento
Molto è stato fatto per conoscere la gravità del fenomeno, mentre “molto di più resta da compiere” per innalzare il livello di consapevolezza nell’opinione pubblica e per un “migliore coordinamento” da parte di governi, autorità giudiziarie, legislative e operatori sociali, rileva Francesco. Tra le sfide quella dell’indifferenza di fronte ad una realtà in cui operano “potenti interessi economici”:

“Come ben sapete, una delle sfide a questo lavoro di sensibilizzazione, di educazione e di coordinamento è una certa indifferenza e persino complicità, una tendenza da parte di molti a voltarsi dall’altra parte mentre potenti interessi economici e reti criminose sono all’opera”.

Il ringraziamento del Papa alla Renate nell’accompagnare donne e bambini
Quindi il Papa ringrazia per il lavoro fatto sia sul fronte dell’accrescimento della coscienza sociale sia su quello del recupero:

“Per questa ragione esprimo il mio apprezzamento per il vostro impegno al fine di accrescere la coscienza sociale circa la dimensione di questa piaga, che colpisce specialmente le donne e i bambini. Ma in modo del tutto speciale vi ringrazio per la vostra fedele testimonianza al Vangelo della misericordia, come è dimostrato dal vostro impegno nel recupero e nella riabilitazione delle vittime”.

Francesco non infatti dimentica gli sforzi enormi e “spesso silenziosi” fatti nei molti anni da Congregazioni religiose, “specialmente femminili” verso chi è stato ferito nella sua dignità. In modo particolare si riferisce al contributo delle “donne nell’accompagnare altre donne e bambini”, che sono spesso le vittime, in un itinerario personale di “guarigione” e “reintegrazione”. Infine esprime la sua fiducia sul contributo che questi giorni di condivisioni di esperienze porteranno per  una più efficace testimonianza del Vangelo in quella che definisce come “una delle grandi ‘periferie’ della nostra società”.

Giubileo carcerati. Papa: Dio è sempre pronto a perdonare

afp5957878_lanciogrande“Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre”. Così il Papa questa mattina nella Basilica di San Pietro per la Messa in occasione del Giubileo dei carcerati. Presenti oltre 4 mila persone provenienti da 12 Paesi del mondo. Mille i detenuti che hanno partecipato alla celebrazione. Francesco ha ribadito più volte la forza della speranza che “guarda” al “futuro” ed è donata da Dio. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

Il Papa entra in una Basilica commossa, ci sono carcerati, ex-detenuti, famigliari, operatori, cappellani e agenti della polizia penitenziaria. Gli occhi di molti diventano lucidi, c’è chi porta le mani al volto, chi le ha giunte e prega. In tutti risuonano le parole perdono e speranza. E il Santo Padre, nella sua omelia ripercorrendo la liturgia del giorno, parte proprio dalla “speranza che non delude” che poggia in Dio le sue radici. Francesco abbraccia nella gioia del Giubileo tutta l’assemblea:

“Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione”.

La speranza dono di Dio
“La speranza è dono di Dio” – dice – “dobbiamo chiederla”, è “posta nel più profondo nel cuore di ogni persona”. Sempre, precisa, deve prevalere la certezza “della presenza e della compassione di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto”:

“Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace”.

Francesco parla del “mancato rispetto della legge” che “ha meritato la condanna”, “della privazione della libertà” che è – rimarca – “la forma più pesante della pena”, “perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo”, ma subito aggiunge:

“La speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il respiro della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno”.

La misericordia di Dio
E’ Dio che “spera”, la “sua misericordia non lo lascia tranquillo”. “Non esiste – afferma – tregua né riposo per Dio fino a quando non ha ritrovato la pecora che si era perduta”:

“Se dunque Dio spera, allora la speranza non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita; è una spinta verso il domani, perché l’amore con cui, nonostante tutto, siamo amati, possa diventare nuovo cammino…”

Insomma, “la speranza”, per il Papa, “è la prova interiore della forza della misericordia di Dio, che chiede di guardare avanti e di vincere, con la fede”, “l’attrattiva verso il male e il peccato”. “La Chiesa – incalza – non può rinunciare a suscitare in ognuno” “il desiderio della vera libertà”. Poi parla dell’ipocrisia di chi punta il dito verso l’altro:

L’ipocrisia di chi punta il dito verso l’altro
“Ogni volta che entro in un carcere mi domando: ‘Perché loro e non io?’. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una o in un’altra maniera abbiamo sbagliato. E quell’ipocrisia fa che non si pensa alla possibilità di cambiare vita, c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società”.

Il questo modo, continua, “si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto”:

“Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni”.

La certezza del perdono
“Nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto”, sostiene, “ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono!”. Inviata a non rinchiudersi nel passato e a non cadere nella tentazione “di pensare di non poter essere perdonati”, perché “Dio è più grande del nostro cuore”, dobbiamo “solo affidarci alla sua misericordia”:

“La storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita”.

“Quante volte – aggiunge – la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Fa riferimento a persone “che hanno patito violenze e soprusi” … “Solo la forza di Dio la misericordia”, dice, può guarire certe ferite:

“Dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia”.

Convegno internazionale in Vaticano su malattie rare e dimenticate

ansa976868_lanciogrande“Nel contesto del Giubileo la lotta delle malattie rare e neglette è un’opera di misericordia evangelica ineludibile” così il segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Jean-Marie Musivi Mupendawatu, presentando nella Sala Stampa della Santa Sede la XXXI Conferenza Internazionale sulle patologie rare, che si terrà dal 10 al 12 novembre in Vaticano. Oggi le malattie rare riconosciute sono tra 6 mila e 8 mila, l’80% di origine genetica. Le persone affette sono quasi 500 milioni, oltre 1 miliardo invece quelle colpite da mali dimenticati. Il servizio di Eugenio Murrali:

Le chiamano malattie rare se affliggono meno di una persona ogni 2000, e se l’incidenza è ancora inferiore allora sono definite ultra-rare o rarissime, ma non provocano minore sofferenza a chi le vive. Ci sono poi malattie facilmente guaribili, come il colera o la febbre tifica, che colpiscono i più poveri, in aree rurali, in zone di conflitto, nelle baraccopoli urbane, dove l’acqua potabile e l’igiene minima non sono una merce a buon mercato. Contro il silenzio che spesso avvolge questi mali, la Chiesa continua il suo impegno anche con la Conferenza dal titolo: “Per una cultura della salute accogliente e solidale a servizio delle persone affette da patologie rare o neglette”. Mons. Jean Marie Musivi Mupendawatu scandisce le parole chiave che guideranno i lavori e l’operato successivo:

“Riformare: per fare il punto dello stato dell’arte, delle conoscenze, sia in senso scientifico sia clinico-assistenziale. Secondo: curare; dobbiamo curare meglio, in una logica accogliente e solidale, la vita del malato. E terzo: custodire l’ambiente nel quale l’uomo vive”.

E sulla necessità di non lasciare sole nel loro dolore le persone colpite da malattie rare, anche quando le ricerche non portano profitto economico, insiste il sotto-segretario del Dicastero, padre Augusto Chendi:

“La Chiesa non manca di ricordare alla scienza, come ai legislatori, ai responsabili socio-economici, di porsi al servizio del bene comune, particolarmente nel farsi carico anche di patologie rare, per le quali anche il solo investimento finanziario per la ricerca difficilmente potrà trovare, o essere adeguatamente compensato da un congruo ritorno economico”.

Claudio Giustozzi, segretario nazionale dell’Associazione Culturale “Giuseppe Dossetti”, anticipa uno dei momenti centrali della Conferenza:

“Porteremo all’attenzione dei convenuti alla conferenza una famiglia con un bambino malato di una patologia molto importante, che si chiama ‘sindrome dell’intestino corto’, in rappresentanza delle 8 mila patologie rare. E cercheremo di fare il punto su come si vive all’interno di una famiglia dove c’è un bambino che è malato gravemente, e dove questa patologia non viene riconosciuta all’interno del meccanismo dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)”.

Sull’impegno quotidiano che la Chiesa vive per combattere le malattie nel mondo mons. Mupendawatu ricorda:

“Pensiamo solo a quello che i Fatebenefratelli hanno fatto: tanti di loro sono morti durante l’ultima epidemia di Ebola in Sierra Leone, Liberia e Guinea”.

Alla Conferenza parteciperanno oltre 320 studiosi e operatori sanitari da 50 Paesi del Mondo.

Santa Sede non ha autorizzato ordinazioni episcopali in Cina

ansa1101778_lanciogrande“Nelle ultime settimane si sono susseguite diverse notizie circa alcune ordinazioni  episcopali, conferite senza Mandato Pontificio a sacerdoti della comunità non ufficiale della  Chiesa cattolica in Cina Continentale. La Santa Sede non ha autorizzato alcuna ordinazione, né è stata ufficialmente informata di tali accadimenti”: lo ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke.

“Se le suddette ordinazioni episcopali fossero vere – ha aggiunto – costituirebbero una grave  violazione delle norme canoniche. La Santa Sede si augura che tali notizie siano infondate. In caso contrario, dovrà attendere  informazioni sicure e documentazione certa prima di valutare adeguatamente i casi”. Tuttavia – conclude Greg Burke – la Santa Sede “ribadisce che non è lecito procedere ad alcuna ordinazione episcopale senza il necessario Mandato Pontificio, neppure appellandosi a particolari convincimenti personali”.

Papa Francesco ai movimenti popolari: non dimentichiamo che Gesù, Giueppe e Maria sono stati rifugiati. Testo integrale

DISCORSO DEL SANTO PADRE al Terzo incontro dei movimenti popolari

papa-francesco-popolariFratelli e sorelle buon pomeriggio! In questo nostro terzo incontro esprimiamo la stessa sete, la sete di giustizia, lo stesso grido: terra, casa e lavoro per tutti. Ringrazio i delegati che sono venuti dalle periferie urbane, rurali e industriali dei cinque continenti, più di 60 Paesi, che sono venuti per discutere ancora una volta su come difendere questi diritti che radunano. Grazie ai Vescovi che sono venuti ad accompagnarvi. Grazie alle migliaia di italiani ed europei che si sono uniti oggi al termine di questo incontro. Grazie agli osservatori e ai giovani impegnati nella vita pubblica che sono venuti con umiltà ad ascoltare ed imparare. Quanta speranza ho nei giovani! Ringrazio anche Lei, Signor Cardinale Turkson, per il lavoro che avete fatto nel Dicastero; e vorrei anche ricordare il contributo dell’ex Presidente uruguaiano José Mujica che è presente.

Nel nostro ultimo incontro, in Bolivia, con maggioranza di latinoamericani, abbiamo parlato della necessità di un cambiamento perché la vita sia degna, un cambiamento di strutture; inoltre di come voi, i movimenti popolari, siete seminatori di quel cambiamento, promotori di un processoin cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia; per questo ho voluto chiamarvi “poeti sociali”; e abbiamo anche elencato alcuni compiti imprescindibili per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza: 1. mettere l’economia al servizio dei popoli; 2. costruire la pace e la giustizia; 3. difendere la Madre Terra.

Quel giorno, con la voce di una “ cartonera” e di un contadino, vennero letti, alla conclusione, i dieci punti di Santa Cruz de la Sierra, dove la parola cambiamento era carica di gran contenuto, era legata alle cose fondamentali che voi rivendicate: lavoro dignitoso per quanti sono esclusi dal mercato del lavoro; terra per i contadini e le popolazioni indigene; abitazioni per le famiglie senza tetto; integrazione urbana per i quartieri popolari; eliminazione della discriminazione, della violenza contro le donne e delle nuove forme di schiavitù; la fine di tutte le guerre, del crimine organizzato e della repressione; libertà di espressione e di comunicazione democratica; scienza e tecnologia al servizio dei popoli. Abbiamo ascoltato anche come vi siete impegnati ad abbracciare un progetto di vita che respinga il consumismo e recuperi la solidarietà, l’amore tra di noi e il rispetto per la natura come valori essenziali. È la felicità di “vivere bene” ciò che voi reclamate, la “vita buona”, e non quell’ideale egoista che ingannevolmente inverte le parole e propone la “bella vita”.

Noi che oggi siamo qui, di origini, credenze e idee diverse, potremmo non essere d’accordo su tutto, sicuramente la pensiamo diversamente su molte cose, ma certamente siamo d’accordo su questi punti.

Ho saputo anche di incontri e laboratori tenuti in diversi Paesi, dove si sono moltiplicati i dibattiti alla luce della realtà di ogni comunità. Questo è molto importante perché le soluzioni reali alle problematiche attuali non verranno fuori da una, tre o mille conferenze: devono essere frutto di un discernimento collettivo che maturi nei territori insieme con i fratelli, un discernimento che diventa azione trasformatrice “secondo i luoghi, i tempi e le persone”, come diceva sant’Ignazio. Altrimenti, corriamo il rischio delle astrazioni, di «certi nominalismi dichiarazionisti ( slogans) che sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità» ( Lettera al Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina , 19 marzo 2016). Sono slogan! Il colonialismo ideologico globalizzante cerca di imporre ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli. Voi andate su un’altra strada che è, allo stesso tempo, locale e universale. Una strada che mi ricorda come Gesù chiese di organizzare la folla in gruppi di cinquanta per distribuire il pane (cfr Omelia nella Solennità del Corpus Domini , Buenos Aires, 12 giugno 2004).

Poco fa abbiamo potuto vedere il video che avete presentato come conclusione di questo terzo incontro. Abbiamo visto i vostri volti nelle discussioni su come affrontare “la disuguaglianza che genera violenza”. Tante proposte, tanta creatività, tanta speranza nella vostra voce che forse avrebbe più motivi per lamentarsi, rimanere bloccata nei conflitti, cadere nella tentazione del negativo. Eppure guardate avanti, pensate, discutete, proponete e agite. Mi congratulo con voi, vi accompagno e vi chiedo di continuare ad aprire strade e a lottare. Questo mi dà forza, questoci dà forza. Credo che questo nostro dialogo, che si aggiunge agli sforzi di tanti milioni di persone che lavorano quotidianamente per la giustizia in tutto il mondo, sta mettendo radici.

Vorrei toccare alcuni temi più specifici, che sono quelli che ho ricevuto da voi e che mi hanno fatto riflettere e che ora vi riporto, in questo momento.

  1. Il terrore e i muri

Tuttavia, questa germinazione, che è lenta – quella alla quale mi riferivo -, che ha i suoi tempi come tutte le gestazioni, è minacciata dalla velocità di un meccanismo distruttivo che opera in senso contrario. Ci sono forze potenti che possono neutralizzare questo processo di maturazione di un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano, l’uomo e la donna . Quel “filo invisibile” di cui abbiamo parlato in Bolivia, quella struttura ingiusta che collega tutte le esclusioni che voi soffrite, può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come nell’Egitto dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato.

Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è – l’ho detto di recente – c’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma n essun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro» ( Conferenza stampa nel volo di ritorno del Viaggio Apostolico in Polonia, 31 luglio 2016). Tale sistema è terroristico.

Quasi cent’anni fa, Pio XI prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale che chiamò « imperialismo internazionale del denaro » (Lett. enc. Quadragesimo anno , 15 maggio 1931, 109). Sto parlando dell’anno 1931! L’aula in cui ora ci troviamo si chiama “Paolo VI”, e fu Paolo VI che denunciò quasi cinquant’anni fa, la «nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico» (Lett. enc. Octogesima adveniens , 14 maggio 1971, 44).Anno 1971. Sono parole dure ma giuste dei miei predecessori che scrutarono il futuro. La Chiesa e i profeti dicono, da millenni, quello che tanto scandalizza che lo ripeta il Papa in questo tempo in cui tutto ciò raggiunge espressioni inedite. Tutta la dottrina sociale della Chiesa e il magistero dei miei predecessori si ribella contro l’idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l’umanità.

Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure. Questo è una chiave! Da qui il fatto che ogni tirannia sia terroristica. E quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali. Muri che rinchiudono alcuni ed esiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro. È questa la vita che Dio nostro Padre vuole per i suoi figli?

La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli. Quando sentiamo che si festeggia la morte di un giovane che forse ha sbagliato strada, quando vediamo che si preferisce la guerra alla pace, quando vediamo che si diffonde la xenofobia, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti; dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura. Vi chiedo di pregare per tutti coloro che hanno paura, preghiamo che Dio dia loro coraggio e che in questo anno della misericordia possa ammorbidire i nostri cuori. La misericordia non è facile, non è facile… richiede coraggio. Per questo Gesù ci dice: «Non abbiate paura» ( Mt 14,27), perché la misericordia è il miglior antidoto contro la paura. E’ molto meglio degli antidepressivi e degli ansiolitici. Molto più efficace dei muri, delle inferriate, degli allarmi e delle armi. Ed è gratis: è un dono di Dio.

Cari fratelli e sorelle, tutti i muri cadono. Tutti. Non lasciamoci ingannare. Come avete detto voi: «Continuiamo a lavorare per costruire ponti tra i popoli, ponti che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento» ( Documento Conclusivo del II Incontro mondiale dei movimenti popolari, 11 luglio 2015, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia). Affrontiamo il terrore con l’amore.

Il secondo punto che voglio toccare è: l’Amore e i ponti.

Un giorno come questo, un sabato, Gesù fece due cose che, ci dice il Vangelo, affrettarono il complotto per ucciderlo. Passava con i suoi discepoli per un campo da semina. I discepoli avevano fame e mangiarono le spighe. Niente si dice del “padrone” di quel campo… soggiacente è la destinazione universale dei beni. Quello che è certo è che, di fronte alla fame, Gesù ha dato priorità alla dignità dei figli di Dio su un’interpretazione formalistica, accomodante e interessata dalla norma. Quando i dottori della legge lamentarono con indignazione ipocrita, Gesù ricordò loro che Dio vuole amore e non sacrifici , e spiegò che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (cfr Mc 2,27). Affrontò il pensiero ipocrita e presuntuoso con l’intelligenza umile del cuore (cfr Omelia, I Congreso de Evangelización de la Cultura, Buenos Aires, 3 novembre 2006), che dà sempre la priorità all’uomo e non accetta che determinate logiche impediscano la sua libertà di vivere, amare e servire il prossimo.

E dopo, in quello stesso giorno, Gesù fece qualcosa di “peggiore”, qualcosa che irritò ancora di più gli ipocriti e i superbi che lo stavano osservando perché cercavano una scusa per catturarlo. Guarì la mano atrofizzata di un uomo. La mano, questo segno tanto forte dell’operare, del lavoro. Gesù restituì a quell’uomo la capacità di lavorare e con questoquella gli restituì la dignità. Quante mani atrofizzate, quante persone private della dignità del lavoro! Perché gli ipocriti, per difendere sistemi ingiusti, si oppongono a che siano guariti. A volte penso che quando voi, i poveri organizzati, vi inventate il vostro lavoro, creando una cooperativa, recuperando una fabbrica fallita, riciclando gli scarti della società dei consumi, affrontando l’inclemenza del tempo per vendere in una piazza, rivendicando un pezzetto di terra da coltivare per nutrire chi ha fame,quando fate questo state imitando Gesù, perché cercate di risanare, anche se solo un pochino, anche se precariamente, questa atrofia del sistema socio-economico imperante che è la disoccupazione. Non mi stupisce che anche voi a volte siate sorvegliati o perseguitati, né mi stupisce che ai superbi non interessi quello che voi dite.

Gesù che quel sabato rischiò la vita, perché, dopo che guarì quella mano, farisei ed erodiani (cfrMc 3,6), due partiti opposti tra loro, che temevano il popolo e anche l’impero, fecero i loro calcoli e complottarono per ucciderlo. So che molti di voi rischiano la vita. So – e lo voglio ricordare, e lavoglio ricordare – che alcuni non sono qui oggi perché si sono giocati la vita… Per questo Manon c’è amore più grande che dare la vita. Questo ci insegna Gesù.

Le 3-T, il vostro grido che faccio mio, ha qualcosa di quella intelligenza umile ma al tempo stesso forte e risanatrice. Un progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro. Un progetto che mira allo sviluppo umano integrale. Alcuni sanno che il nostro amico il Cardinale Turkson presiede adesso il Dicastero che porta questo nome: Sviluppo Umano Integrale. Il contrario dello sviluppo, si potrebbe dire, è l’atrofia, la paralisi. Dobbiamo aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale. Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune “protesi” cosmetiche che non sono vero sviluppo: crescita economica, progressi tecnologici, maggiore “efficienza” per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano inglobandoci tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto… Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato , di questa casa comune.

Un altro punto è: Bancarotta e salvataggio.

Cari fratelli, voglio condividere con voi alcune riflessioni su altri due temi che, insieme alle “3-T” e all’ecologia integrale, sono stati al centro dei vostri dibattiti degli ultimi giorni e sono centrali in questo periodo storico.

So che avete dedicato una giornata al dramma dei migranti, dei rifugiati e degli sfollati. Cosa fare di fronte a questa tragedia? Nel Dicastero di cui è responsabile il Cardinale Turkson c’è una sezione che si occupa di queste situazioni. Ho deciso che, almeno per un certo tempo, quella sezione dipenda direttamente dal Pontefice, perché questa è una situazione obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna.

Lì, come anche a Lesbo, ho potuto ascoltare da vicino la sofferenza di tante famiglie espulse dalla loro terra per motivi economici o violenze di ogni genere, folle esiliate – l’ho detto di fronte alle autorità di tutto il mondo – a causa di un sistema socio-economico ingiusto e didelle guerre che non hanno cercato, che non hanno creato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto molti di coloro che si rifiutano di riceverli.

Faccio mie le parole di mio fratello l’Arcivescovo Hieronymos di Grecia: «Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza, la “bancarotta” dell’umanità» ( Discorso nel Campo profughi di Moria , Lesbos, 16 aprile 2016). Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente. Nei giorni di questo incontro – lo dite nel video – quanti sono i morti nel Mediterraneo?

La paura indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro. Lo ha detto il mio fratello il Patriarca Bartolomeo: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono la paura e trascendono la divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» ( Discorso nel Campo profughi di Moria , Lesbos, 16 aprile 2016).

E’, veramente, un problema del mondo. Nessuno dovrebbe vedersi costretto a fuggire dalla propria patria. Ma il male è doppio quando, davanti a quelle terribili circostanze, il migrante si vede gettato nelle grinfie dei trafficanti di persone per attraversare le frontiere, ed è triplo se arrivando nella terra in cui si pensava di trovare un futuro migliore, si viene disprezzati, sfruttati,e addirittura schiavizzati. Questo si può vedere in qualunque angolo di centinaia di città. O semplicemente non si lasciano entrare.

Chiedo a voi di fare tutto il possibile; e di non dimenticare mai che anche Gesù, Maria e Giuseppe sperimentarono la condizione drammatica dei rifugiati. Vi chiedo di esercitare quella solidarietà così speciale che esiste tra coloro che hanno sofferto. Voi sapete recuperare fabbriche dai fallimenti, riciclare ciò che altri gettano, creare posti di lavoro, coltivare la terra, costruire abitazioni, integrare quartieri segregati e reclamare senza sosta come la vedova del Vangelo che chiede giustizia insistentemente (cfr Lc 18,1-8). Forse con il vostro esempio e la vostra insistenza, alcuni Stati e Organizzazioni internazionali apriranno gli occhi e adotteranno le misure adeguate per accogliere e integrare pienamente tutti coloro che, per un motivo o per un altro, cercano rifugio lontano da casa. E anche per affrontare le cause profonde per cui migliaia di uomini, donne e bambini vengono espulsi ogni giorno dalla loro terra natale.

Dare l’esempio e reclamare è un modo di fare politica, e questo mi porta al secondo tema che avete dibattuto nel vostro incontro: il rapporto tra popolo e democrazia. Un rapporto che dovrebbe essere naturale e fluido, ma che corre il pericolo di offuscarsi fino a diventare irriconoscibile. Il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle. I movimenti popolari, lo so, non sono partiti politici e lasciate che vi dica che, in gran parte, qui sta la vostra ricchezza, perché esprimete una forma diversa, dinamica e vitale di partecipazione sociale alla vita pubblica. Ma non abbiate paura di entrare nelle grandi discussioni, nella Politica con la maiuscola, e cito di nuovo Paolo VI: «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (Lett. ap.Octogesima adveniens , 14 maggio 1971, 46). O questa frase che ripeto tante volte, e sempre mi confondo, non so se è di Paolo VI o di Pio XII: “La politica è una delle forme più alte della carità, dell’amore”.

Vorrei sottolineare due rischi che ruotano attorno al rapporto tra i movimenti popolari e politica: il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere.

Primo, non lasciarsi imbrigliare, perché alcuni dicono: la cooperativa, la mensa, l’orto agroecologico, le microimprese, il progetto dei piani assistenziali… fin qui tutto bene. Finché vi mantenete nella casella delle “politiche sociali”, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei i poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le “macrorelazioni”, quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera , non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.

Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria.

Sappiamo che «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali» (Esort. ap. Evangelii gaudium , 202). Per questo, l’ho detto e lo ripeto, «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto nelle mani dei popoli ; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» ( Discorso al II incontro mondiale dei movimenti popolari , Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015). Anche la Chiesa può e deve, senza pretendere di avere il monopolio della verità, pronunciarsi e agire specialmente davanti a «situazioni in cui si toccano le piaghe e le sofferenze drammatiche, e nelle quali sono coinvolti i valori, l’etica, le scienze sociali e la fede» (Intervento al vertice di giudici e magistrati contro il traffico di persone e il crimine organizzato , Vaticano, 3 giugno 2016). Questo è il primo rischio: il rischio di lasciarsi incasellare e l’invito a mettersi nella grande politica.

Il secondo rischio, vi dicevo, è lasciarsi corrompere. Come la politica non è una questione dei “politici”, la corruzione non è un vizio esclusivo della politica. C’è corruzione nella politica, c’è corruzione nelle imprese, c’è corruzione nei mezzi di comunicazione, c’è corruzione nelle chiese e c’è corruzione anche nelle organizzazioni sociali e nei movimenti popolari. E’ giusto dire che c’è una corruzione radicata in alcuni ambiti della vita economica, in particolare nell’attività finanziaria, e che fa meno notizia della corruzione direttamente legata all’ambito politico e sociale. E’ giusto dire che tante volte si utilizzano i casi corruzione con cattive intenzioni. Ma è anche giusto chiarire che quanti hanno scelto una vita di servizio hanno un obbligo ulteriore che si aggiunge all’onestà con cui qualunque persona deve agire nella vita. La misura è molto alta: bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà. Questo vale per i politici ma vale anche per i dirigenti sociali e per noi pastori. Ho detto “austerità” e vorrei chiarire a cosa mi riferisco con la parola austerità, perché può essere una parola equivoca. Intendo austerità morale, austerità nel modo di vivere, austerità nel modo in cui porto avanti la mia vita, la mia famiglia. Austerità morale e umana. Perché in campo più scientifico, scientifico-economico, se volete, o delle scienze del mercato, austerità è sinonimo di aggiustamento… Non mi riferisco a questo, non sto parlando di questo.

A qualsiasi persona che sia troppo attaccata alle cose materiali o allo specchio, a chi ama il denaro, i banchetti esuberanti, le case sontuose, gli abiti raffinati, le auto di lusso, consiglierei di capire che cosa sta succedendo nel suo cuore e di pregare Dio di liberarlo da questi lacci. Ma, parafrasando l’ex-presidente latinoamericano che si trova qui, colui che sia affezionato a tutte queste cose, per favore, che non si metta in politica, che non si metta in un’organizzazione sociale o in un movimento popolare, perché farebbe molto danno a sé stesso, e al prossimo e sporcherebbe la nobile causa che ha intrapreso. E che neanche si metta nel seminario!

Davanti alla tentazione della corruzione, non c’è miglior rimedio dell’austerità, questa austerità morale, personale ; e praticare l’austerità è, in più, predicare con l’esempio. Vi chiedo di non sottovalutare il valore dell’esempio perché ha più forza di mille parole, di mille volantini, di mille “mi piace”, di mille retweets, di mille video su youtube. L’esempio di una vita austera al servizio del prossimo è il modo migliore per promuovere il bene comune e il progetto-ponte delle “3-T”. Chiedo a voi dirigenti di non stancarvi di praticare questa l’austerità morale, personale, e chiedo a tutti di esigere dai dirigenti questa austerità, che – del resto – li farà essere molto felici.

Care sorelle e cari fratelli,

la corruzione, la superbia e l’esibizionismo dei dirigenti aumenta il discredito collettivo, la sensazione di abbandono e alimenta il meccanismo della paura che sostiene questo sistema iniquo.

Vorrei, per concludere, chiedervi di continuare a contrastare la paura con una vita di servizio, solidarietà e umiltà in favore dei popoli e specialmente di quelli che soffrono. Potrete sbagliare tante volte, tutti sbagliamo, ma se perseveriamo in questo cammino, presto o tardi, vedremo i frutti. E insisto: contro il terrore, il miglior rimedio è l’amore. L’amore guarisce tutto. Alcuni sanno che dopo il Sinodo sulla famiglia ho scritto un documento che ha per titolo Amoris laetitia” – la “gioia dell’amore” – un documento sull’amore nelle singole famiglie, ma anche in quell’altra famiglia che è il quartiere, la comunità, il popolo, l’umanità. Uno di voi mi ha chiesto di distribuire un fascicolo che contiene un frammento del capitolo quarto di questo documento. Penso che ve lo consegneranno all’uscita. E quindi con la mia benedizione. Lì ci sono alcuni “consigli utili” per praticare il più importante dei comandamenti di Gesù.

In Amoris laetitia cito un compianto leader afroamericano, Martin Luther King, il quale sapeva sempre scegliere l’amore fraterno persino in mezzo alle peggiori persecuzioni e umiliazioni. Voglio ricordarlo oggi con voi; diceva: «Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male» (n. 118; Sermone nella chiesa Battista di Dexter Avenue , Montgomery, Alabama, 17 novembre 1957). Questo lo ha detto nel 1957.

Vi ringrazio nuovamente per il vostro lavoro, per la vostra presenza. Vi ringrazio per il vostro lavoro . Desidero chiedere a Dio nostro Padre che vi accompagni e vi benedica, che vi riempia del suo amore e vi difenda nel cammino dandovi in abbondanza la forza che ci mantiene in piedi e ci dà il coraggio per rompere la catena dell’odio: quella forza è la speranza. Vi chiedo per favore di pregare per me, e quelli che non possono pregare, lo sapete, pensatemi bene e mandatemi una buona onda. Grazie.

Il Papa cresima un ragazzo gravemente malato

Papa Francesco ha amministrato il sacramento della cresima a Giuseppe Chiolo, un ragazzo di sedici anni gravemente malato. Il rito – riferisce l’Osservatore Romano – si è svolto all’Arco delle campane subito prima dell’udienza giubilare. Giuseppe, originario di Mazzarino in Sicilia, è ricoverato nel reparto oncologico dell’ospedale Meyer di Firenze ed è arrivato in Vaticano su un’ambulanza della Misericordia di Badia a Ripoli.

Francesco, dopo averlo abbracciato, ha amministrato il sacramento a Giuseppe, seduto sulla sedia a rotelle, donandogli poi una corona del rosario con la raccomandazione di non dimenticare di pregare per lui. Nei giorni scorsi il ragazzo aveva scritto una lettera al Papa confidandogli il suo forte desiderio di incontrarlo. E ricevendo subito l’invito a venire in Vaticano. Ad assistere il Papa erano l’arcivescovo Rino Fisichella e monsignor Stefano Sanchirico.

Francesco ha poi avuto parole di incoraggiamento per i familiari di Giuseppe: i genitori Carmelo e Maria Giuseppina e la sorella Dafne. Con loro erano presenti anche il cappellano del Meyer, don Fabio Marella, vice direttore della Caritas diocesana fiorentina, e una zia del ragazzo. Un ringraziamento del tutto particolare il Papa ha rivolto ai tre volontari della Misericordia che hanno assicurato il viaggio di Giuseppe: Valentina Nutini, Niccolò Farsetti e Giampiero Gaggi.

Anche in piazza San Pietro, durante l’udienza, Francesco ha voluto salutare con affetto le persone ammalate e disabili. Con un sorriso speciale per Laura Salafia, colpita da una pallottola sei anni fa a Catania mentre usciva dalla sua facoltà di lettere. A ferirla gravemente un uomo che aveva sparato a un’altra persona. Laura, rimasta paralizzata, ha affrontato delicate operazioni e lunghi ricoveri cercando di recuperare autonomia. Nonostante tutto, proprio grazie alla fede è divenuta una testimone di speranza e di voglia di vivere, perdonando anche l’uomo che le ha sparato.

Accanto a lei, Pompeo Barbieri, sopravvissuto nel 2002 al crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia provocato dal terremoto. Pur su una sedia a rotelle, Pompeo ha saputo «rilanciarsi nella vita» e diventare anche campione italiano di nuoto.

(Da Radio Vaticana)